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PAS SUR LA BOUCHE
(PAS SUR LA BOUCHE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 marzo 2004
 
di Alain Resnais, con Pierre Arditi, Sabine Azéma, Audrey Tautou, Lambert Wilson, Daniel Prévost, Darry Cowl (Francia, 2003)
 
Inimitabile, inossidabile Alain Resnais. A 80 anni e passa continua a dilettarsi con le meccaniche dello spettacolo (SMOKING NO SMOKING); poi, a rianimarne i fantasmi grazie all'universalità della canzonetta (ON CONNAIT LA CHANSON). Non è più il teatro che tenta di assomigliare alla vita, ama ripetere. E' la vita ad essere sempre più simile ad una invenzione teatrale; ed allora, tanto vale filmare "quella" finzione. Ma, attenzione, senza che questo si riduca a del misero teatro filmato. Tutta la grazia, l'originalità, l'arte dell'ultima parte della carriera del maestro francese è racchiusa in questo semplice, giocoso ma quanto ardito gioco di prestigio: scovare il più vero e vegeto dei conigli dal contenitore più artificiale e fasullo che si è riusciti a recuperare.

E quanto sia kitsch questo di PAS SUR LA BOUCHE non è difficile immaginare, considerata a priori l'attualità di un'operetta, di una commedia musicale "alla parigina", creata nel 1925 da André Barde e Maurice Yvain. Con il suo corollario di piccoli intrighi e maldicenze, furbate e quiproquo che deliziavano i frequentatori frivoli e pure seriosi del mitico Teatro di Boulevard. In quanto alla storia, se proprio ci tenete, essa si costruisce attorno alla grande teoria del padrone (Pierre Arditi) della dimora Art Déco nella quale veniamo introdotti: la donna (Sabine Azéma) che si è posseduta per primi potrà anche apparire farfallona; ma mai ci sarà infedele. Il poveretto non è però al corrente del fatto che la venuta del miliardario distratto con il quale sta per lucrare in affari (Lambert Wilson) arrischia di minare pericolosamente il castello di carte; dato che, a sua insaputa, questi è stato il primo marito, americano, della bella.

Ma come è possibile rivalutare il kitsch, autentificare il falso, realizzare l'apparenza? Con quel segreto che appartiene all'autore di HIROSHIMA e di MARIENBAD come a nessun altro: annullare il tempo, ed il suo trascorrere. Non tanto riandare nella memoria; poiché questa è fragile, ambigua, ad immagine dei nostri sentimenti, dai quali è meglio diffidare. Resnais sa come riavvolgerla, la molla del tempo: come quella di un giocattolo, del quale vogliamo scoprire il funzionamento.

La convenzione teatrale, la cartapesta, la mimica d'epoca non è che il regista le rinneghi; al contrario, le rispetta, in quanto ne subisce il fascino, cosi come l'energia trainante, pur se datata, della finzione. Non è nemmeno nostalgia, la sua, ricreazione rétro né tanto meno rilettura contemporanea. Piuttosto, nel continuo rispetto di quei moduli desueti, la scoperta di una dimensione che si fa neutra poiché fuori dal tempo e dal gusto. Una chiave per entrare in quelle convenzioni, di isolare le psicologie dei personaggi, la meccanica degli avvenimenti; e tramutarli in una nuova, infine moderna osservazione drammaturgica ed estetica.

Alla futile ma sempre meno ridicola leggerezza début siècle viene allora a fondersi l'interrogativo metafisico; agli ambienti neutri, artificiali anche se minuziosi di realtà, ai colori stinti, agli interni e pseudo-esterni posticci la luce del nostro bravissimo Renato Berta ha tolto progressivamente le ombre del quotidiano per sostituirle con quelle diffuse del palcoscenico della vita. Come per le pennellate sovrapposte del pittore, alla grazia desueta si sovrappone altra bellezza. Quella dell'universo surreale ma incollato ai comportamenti della società e dell'epoca delle commedie di Lubitsch; quella dei paradossi cinici e disinvoltamente immorali di Sacha Guitry. Dei tempi implacabili, le coincidenze inappuntabili, le strategie impossibili; e i giochi del caso che si mutano in quelli della malizia.

Diviene allora quasi superfluo sottolineare il divertimento inappuntabile degli attori, la precisione dei movimenti di macchina che inseguono quello degli attori negli spazi, la raffinatezza delle scenografie, il significato cromatico delle tinte e delle luci. E, quasi ce ne dimenticavamo, in quel loro modo di sfumare dal profumo delle pile dei 78 giri ad un jazz leggero contemporaneo, delle musiche. La facilità con la quale la crisalide si fa farfalla, il polveroso dagherrotipo coreografia corale, l'astratta stilizzazione gesto di libertà assolutamente moderna, sfuma allora nell'incanto. Quello, sfrontato, delle sfide più impossibili, alla fantasia e al desiderio.

Certo, tanta elegante stravaganza Alain Resnais l'aveva già dimostrata in MELO o in MURIEL, in MON ONCLE D'AMERIQUE o in PAROLE, PAROLE. Ma non è una ragione per non rendergli ennesimo omaggio.


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