Arrischia, oggi come allora, di non accontentare nessuno. Non gli ammiratori del talentuosamente ermetico regista tedesco: filmata con fin eccessiva discrezione (interpreti ripresi a mezzo busto in lunghi ed esplicativi recitativi) e con invenzioni sulla strada del kitsch sulpiziano (proiezioni e trasparenze, scelta di personaggi angelicamente androgini) non particolarmente inedite, l'opera è in questo senso un passo indietro rispetto ai precedenti LUDWIG e soprattutto, HITLER, UN FILM DALLA GERMANIA (1977).

Pur introducendo elementi scenografici insoliti (le bandiere naziste fra quelle dei cavalieri del Graal, i busti di celebri tedeschi come Marx o Nietzsche, e soprattutto il calco enorme della testa di Wagner, sul quale muovono i personaggi) Syberberg non sembra riuscire a raggiungere quella dimensione spazio-temporale che è il segreto del Parsifal wagneriano, quel mito mentale che il regista cerca di evidenziare introducendo i suoi personaggi nelle fenditure dell'enorme cranio.

In quanto ai melomani, dopo le discussioni suscitate dal FLAUTO MAGICO di Bergman, il DON GIOVANNI di Losey e la CARMEN di Rosi non sarà certo questo PARSIFAL a conciliarli con l'opera filmata. Pur servita da un playback tecnicamente perfetto (e da un dolby leggermente gracchiante) la musica ed il canto rimangono da un lato; e dall'altro le invenzioni di Sybereberg. Par già di sentire le tradizionali invocazioni allo spazio scenico, alla distanza consolatrice fra spettatore in platea e melodramma sul palco.