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PANICO A NEEDLE PARK
(THE PANIC IN NEEDLE PARK)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 novembre 1972
 
di Jerry Schatzberg, con Al Pacino; Kitty Winn; Richard Bright; Adam Vint; Kiel Martin; Raul Julia; Paul Sorvino (Stati Uniti, 1971)
 
C'è una bella sequenza nel film di Schatzberg, ed è quanto la ragazza si droga per la prima volta. Sono a letto tutti e due, lui particolarmente rimbecillito dall'ultima dose, lei sola. ed è per questa impossibilità di amare, di comunicare con il ragazzo, che Kitty Winn sceglie l'unica strada che le permette d'immettersi alla medesima dimensione del compagno, la sola che possa darle l'illusione di fuggire la solitudine, l'egoismo, l'angoscia, eccetera.

Questo tentativo di raggiungere il suo ragazzo in uno stato di presunta beatitudine, di unione comunque, è la sola sequenza del film, in definitiva, nella quale gli atti dei personaggi siano motivati. Ed è per questo che è anche la più bella.

Per il resto PANICO A NEEDLE PARK non è certamente mal fatto, non ci sono compiacimenti commerciali-polizieschi, ci sono delle belle riprese di quella umanità riversata nelle strade che è tipica delle grandi città e del nostro tempo, di quella asfissiante concentrazione di umori e sudori che sicuramente contribuisce ad invogliare molta gente a cercare sfuggirvi. Gli attori sono ben diretti, la ragazza è molto sensibile, gli orrori della droga sono fin troppo ben descritti, con abbondanza di primi piani di endovenose, lacci, sangue e polverine bianche, vomiti e prostituzione per procurarsi le dosi.

Tutto questo e sicuramente utile, ma, altrettanto sicuramente, non nuovo ed alla portata di qualsiasi documentario sulla degradazione da stupefacenti. Manca, al film, un fremito di vita, un tentativo di entrare nell'ultimo delle motivazioni dei personaggi, di cercare di spiegare, oltre che di descrivere. Che la droga sia uno schifo lo sapevano (anche se, senza dubbio, non è un male ripeterlo); ma ad un certo punto vien da chiedersi tanto a far vomitare, a far andare in convulsioni fino a crepare. Un film pieno di difetti e di speculazioni misticheggianti come MORE di Barbette Schroeder, ad esempio, tentava di ricostruire, oltre alle conseguenze, anche le cause, la tentazione, le proposte del mondo dei drogati. Nulla di questo in PANICO A NEEDLE PARK, tutti s'iniettano, stanno male, e ricominciano.

La strada del teleobiettivo, dell'indagine pseudo documentaristica poteva anche essere buona, così come il rifiuto del romanzo e della speculazione spettacolare sul mondo dei retroscena. Ma occorreva allora una facoltà d'introspezione che Schatzberg evita se non, come già detto, in alcuni momenti del suo personaggio femminile. Più che un gran film sulla droga, PANICO A NEEDLE PARK una grande occasione mancata?


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