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OMBRE E NEBBIA
(SHADOWS AND FOG)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 luglio 1992
 
di Woody Allen, con Woody Allen, Mia Farrow, Jodie Foster, Madonna, John Malkovitch, Lily Tomlin, Kathy Bates (Stati Uniti, 1991)
 
"Come, forse più che in ogni altro comico l'arte di Woody Allen è quella della schizofrenia. Nell'assieme della sua carriera, innanzitutto, che è come spaccata in due: dapprima dei film semplicemente comici, o addirittura farseschi. Poi, a partire da MANHATTAN, l'introduzione degli elementi drammatici.

Da allora - secondo esempio di schizofrenia - l'alternanza: un film comico, seguito da uno drammatico, talvolta anche tragico. All'interno di questo schema, l'arte registica del comico nel frattempo si affina sempre più, fino a raggiungere il perfetto equilibrio espressivo di quella che è una delle sue opere più compiute, HANNAH E LE SUE SORELLE.

In un altro dei momenti più alti della sua carriera, quello di CRIMINI E MISFATTI, Allen introduce il suo terzo esempio di schizofrenia: la coesistenza - all'interno della stessa opera ed in perfetto parallelismo - delle due vene espressive, quella comica e quella drammatica, che incarnano due personaggi diversi ed identici, destinati ad esprimere le tradizionali preoccupazioni del regista.

Ed ora, uscendo per la prima volta dalla sua New York per mettere in scena una specie di Praga, o Berlino o forse Londra degli anni trenta, quello che dai tempi delle prime comiche si è fatto uno dei più grandi cineasti in circolazione, sembra tentare un ulteriore passo in quella che è ormai impossibile non definire la sua poetica della schizofrenia. In OMBRE E NEBBIA si sovrappongono infatti non più due, ma tre momenti poetici: quello comico, quello tragico e quello melodrammatico.

Il primo è ovviamente rappresentato da Kleinman, l'impiegatuccio ebreo, che è svegliato di soprassalto in piena notte da un gruppo di Vigilantes, per quello che è l'inizio della sua tragicommedia kafkiana. Il secondo è quello della causa dell'agitazione: uno strangolatore che assomiglia al celebre maniaco langhiano di M, e che si aggira nelle viuzze invase dalla nebbia inquieta della cittadina. Non solo: oltre al mostro di Fritz Lang, l'oggetto del terrore è molto simile ad un altro dei più significativi archetipi cinematografici ed ormai storici, quello di Nosferatu. Ed ecco allora mutarsi il dramma in tragedia: perché la caccia al mostro, il coinvolgimento dell'ometto Kleinman tra una risata e l'altra mutano il film in una riflessione sulle origini del Male, e sulle sue costanti. Spalancano orrori vertiginosi: quelli di un passato al quale il film si riferisce pittoricamente, come quelli di un presente che Allen non perde mai di vista. La delazione, l'antisemitismo, l'olocausto, il ruolo di ogni sorta di potere, da quello politico a quello clericale, diventano così gli elementi di un gioco ad incastro, deliziosamente leggero e divertito, tremendamente significativo e drammatico per l'efficacia ben nota che l'alternanza delle risata con l'angoscia provoca nello spettatore.

Ma non è finita; perché se il Male è eterno e solo provvisoriamente estirpabile (come ci mostrerà Allen in un finale straordinario) è solo con le armi della magia, dell'illusione, della poesia che l'Artista può tentare di combatterlo.

Nel carosello dei riferimenti cinematografici sui quali si basa da sempre il cinema di Allen, dopo quello di Lang, di Murnau, di Frankenstein (ma naturalmente anche letterari, a cominciare da Kafka) è giunto allora quello di Ingmar Bergman. Ed il terzo degli elementi da introdurre nella perfezione dell'intreccio, quello melodrammatico.

È la famiglia del circo, il pagliaccio John Malkovitch che amoreggia con l'acrobata Madonna, la mangiatrice di spade Mia Farrow che vuole ad ogni costo un bebè. E, soprattutto, l'illusionista con il quale Kleinman - proprio al contrario di ciò che decideva Charlot ne IL CIRCO - finirà per andarsene.

In una perfetta, meravigliosa spirale, tutta le vertigine di OMBRE E NEBBIA conduce all'incontro fra l'ometto ebreo e l'illusionista del circo. È la scena nella quale i tre elementi espressivi vengono finalmente a coincidere: la scansione comica, la tensione drammatica ed il sentimentalismo melodrammatico sfociano meravigliosamente nella sequenza dove lo strangolatore è "catturato" con lo specchio magico.

Sono delle catene fragili e provvisorie, quelle che le armi umili e misteriose dall'Artista riescono a metterci a disposizione: e difatti il mostro riuscirà presto a fuggire. Ma come quella di Murnau, Lang o Bergman anche l'arte deliziosa dell'autore di questo film semplice e perfetto deve soprattutto parlarci di quella fragilità. E ricordarci così che i mostri sono sempre fra noi."


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