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O LUCKY MAN
(O LUCKY MAN!)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 aprile 1974
 
di Lindsay Anderson, con Malcolm McDowell, Rachel Roberts, Arthur Lowe, Ralph Richardson, Alan Price, Lindsay Anderson (Gran Bretagna, 1973)
Ampio affresco sulla condizione umana contemporanea (il film dura più di tre ore), o piuttosto ballata ambiziosa e talentuosa sulle vicissitudine di un giovane londinese alla ricerca del successo, O LUCKY MAN conferma, così come il precedente e ottimo IF (cronaca di una rivolta in un collegio inglese) il totale mutamento dello stile del regista. Ex-critico di riviste specializzate, Anderson è stato infatti fra i promotori del "Free cinema" stile documentaristico, ritorno alla strada e alla cinepresa sulla spalla, che doveva aprire molte strade non solo al cinema inglese, ma anche alla "nouvelle vague", al cinema verità a tutti quei movimenti insomma che tentavano, almeno inizialmente, di liberare il cinema da certe strutture tradizionali che ne mortificano le aspirazioni di libertà e di ricerca di una verità più diretta e di ricerca immediata.

THIS SPORTING LIFE era stata l'opera di Anderson direttamente ispirata a questa esperienza: un dipinto realistico e poetico dell'esperienza di un giocatore di rugby. Il cinema di O LUCKY MAN conserva ancora a tratti il ricordo di quelle ispirazioni realistiche (le sequenze girate in provincia, la pensione) ma nel suo assieme esso ne è ben lontano: sia nella costruzione dell'opera, regolarmente interrotta dagli intermezzi musicali che ne commentano il significato alla maniera dei vecchi cantastorie, sia nello stile dell'ambientazione, della recitazione, della scelta dei personaggi (molti attori appaiono nelle vesti di più personaggi) Anderson ha scelto la strada de fantastico, del sogno picaresco. Il suo intento, in questo incontro tra le realtà ed il fantastico è quello di denunciare l'impostura del nostro mondo, così come si presenta agli occhi, non certamente ingenui, del protagonista Malcom McDowell, lo stesso straordinario interprete di ARANCIA MECCANICA. I grandi temi, le grandi ambizioni, sono spesso pericolose al cinema: ed anche Anderson, malgrado la sua indubbia sapienza, non sfugge totalmente alla regola. Nel suo film passa al setaccio tutte le istituzioni contemporanee: dalla giustizia al sistema penitenziario, dall'armata alla polizia, dalla piccola borghesia al mondo della finanza, dalla chiesa alla medicina. Il tutto è mirabolante, insolito e abile. Ma è anche troppo, semplicemente troppo.


   Il film in Internet (Google)

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