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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 aprile 2007
 
di Jacques Rivette, con Jeanne Balibar, Guillaume Depardieu (Francia, 2007)
 
A tout seigneur, tout honneur; che vuol anche dire lasciare ai francesi e al loro cinema questo genere di operazione. Che consiste, facile a dirsi, nel "come" appropriarsi di un testo letterario; e di tradurlo in un equivalente linguaggio cinematografico. Poche volte quest'operazione si è svolta con altrettanta fedeltà e facilità: e non a caso Jacques Rivette si era già impossessato dell'universo di Honoré de Balzac, in OUT 1: SPECTRE e in LA BELLE NOISEUSE.

Perchè Balzac? Perchè sullo sfondo di quelle cospirazioni (materiali e spirituali) che il regista ha sempre prediletto, di quegli scontri all'interno di una coppia nella quale i rapporti di forza vengono costantemente ribaltati, vittime e tiranni, verità e fantasia finiscono per incrociarsi crudelmente, una storia come questa dell'autore della Comédie Humaine, di una passione che finisce per uccidere costituisce un terreno sognato d'intesa.

Storia datata (tratta da un racconto di "L'Histoire des Treize", fatta di situazioni, gestualità, dialoghi datati; ma che, lungi dall'alimentare la nostra incredulità, finiscono per esaltare l'operazione di osservazione, di riflessione indotta dalla trasposizione in immagini. La duchessa Antoinette de Langeais attira a sé il generale di Montriveau con le armi (del corpo, ma anche di uno stato sociale, di un conformismo mondano) che ancora oggi definiremmo di una allumeuse. Solo che, succede, il gioco le si ritorce fra le mani; in uno di quei ribaltamenti morali e sentimentali cari al regista. Sarà l'ufficiale, apparentemente liberato dall'incanto, a rifiutarsi: con conseguenze ancora più crudeli. Il tempo avrà avuto il sopravvento, oltre che sui sentimenti, sulla ragione.

Proprio perché alle prese con una meccanica apparentemente esasperante (il tiramolla amoroso finirà per protrarsi per mesi; addirittura per anni dopo il ribaltamento) a Rivette riesce il contrario. Obbliga gli attori (ed il suo è un rapporto che nella osmosi con l'attore trova i suoi significati più alti; Jeanne Balibar e Guillaume Depardieu fanno letteralmente corpo con la vicenda) a seguire il testo senza sgarrare di una virgola; ma questa gabbia è inserita all'interno di un contesto che ne farà esplodere i significati. Il corpo degli attori, dietro alla maschera dei comportamenti, innanzitutto. E poi il riflesso, emotivo e psicologico, dei contenitori, gli ambienti, la scenografia, i costumi, i colori. Ad infinita distanza da un decorativismo da film storico hollywoodiano: in intimità ravvicinata con le reazioni, le emozioni sepolte all'interno dei personaggi. In questo senso è un Rivette che ricorda la disciplina estetica del Rohmer di LA MARQUISE D'O: dove ogni dettaglio di un abito, come quello di un rituale sociale assume una vibrazione lancinante. A quel modo le convenzioni di un'epoca, i condizionamenti che queste inducono sulla passione, la violenza sull'individuo costretto a contraddire i propri sentimenti con il proprio comportamento finiscono per assumere, oltre che una carica emotiva, la dimensione di una riflessione, assai più durevole, che si fa sociale e politica.


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