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LA BELLA SCONTROSA
(LA BELLE NOISEUSE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 maggio 1991
 
di Jacques Rivette, con Michel Piccoli, Emmanuelle Béart, Jane Birkin (Francia, 1991)
 

C'è modo e modo di sbranarsi. Ce ne è anche uno spirituale, raffinato, quello del sublimale: LA BELLE NOISEUSE, di Jacques Rivette (Francia) che dalle poche paginette di una novella di Balzac ha tratto quattro ore di proiezione. Sovrane ed istantanee, come quelle visioni riassuntive che pochi istanti prima della morte - così ci dicono - fanno rivivere l'arco di una vita.

Due di queste ore, tanto per dirvi come trascorrono, sono dedicate alla descrizione (quasi un documentario in tempo reale) di come nasce un dipinto. Dapprima un pennino intinto nella china, con il suo grattare sulla carta. Poi i pastelli, gli acquerelli, i pennelli per giungere all'olio ed alla tela, sempre più grande, in tutti i sensi: poiché la meta è quel capolavoro, La Belle Noiseuse appunto, mille volte tentato, interrotto, ricominciato. Non tanto perché Michel Piccoli, pittore celebre ma da dieci anni paralizzato dalla tela bianca, voglia giungere al Louvre: ma per quella esigenza, insopprimibile in un artista, di sublimare in un'opera - non fosse che un'unica volta nel corso di un'esistenza - la propria concezione esistenziale. In un gesto concreto, che gli possa sopravvivere, la propria sofferenza (la propria gioia, la propria rabbia, la propria angoscia) del creare.

LA BELLE NOISEUSE è per metà IL MISTERO PICASSO, quel documentario di Clouzot nel quale il regista francese mostrava come il grande artista traducesse sulla tela la realtà che lo circondava. Ma per l'altra metà è del Rivette: il regista del confronto fra la realtà e l'immaginario, l'autore di mille complotti. Una volta ancora, un film di Rivette è tutto ciò: poiché per giungere a quell'istante sublime di cui sopra, un artista ha bisogno di una modella. Ed è solo grazie ad una sorta di complotto tra i due che quel confronto fra realtà e immaginario può essere tentato; solo con la violenza di un vero e proprio corpo a corpo, che può essere condotto a termine. Fra i due bravissimi Michel Piccoli ed Emmaneulle Béart è subito scontro: lei nuda, a controvoglia, passiva, ribelle. Lui intimorito, ma comunque padrone, avido ed ansioso, poi stanco e rassegnato. È uno scontro fisico: con lui che ne plasma le pose, contorcendola, estraendole la bellezza (valorizzata dalla meravigliosa luce del direttore della fotografia William Lubtchansky) quasi a viva forza.

Ma se la modella ha bisogno dell'artista per essere deposita nella memoria, ancora più vale il contrario. E la dipendenza, materiale dapprima, spirituale in seguito, il rapporto fra vittima e carnefice si rovescia progressivamente. Si equilibra: in un lungo viaggio da percorrere assieme, durante il quale la debolezza dell'uno dovrà trasformarsi in energia per l'altro, la determinazione della donna ("la sola nella coppia ad avere una vera e propria percezione cosmica", come ha sempre dichiarato l'ex redattore dei CAHIERS) finirà per avere la meglio sull'inquietudine dell'uomo. Certo, con qualche conseguenza per tutti: così che l'equilibrio (instabile?) della prima ora rohmeriana, terminerà in una (salutare?) destabilizzazione generale.

Il film, Rivette, lo ha disteso per quattro ore con la medesima, sapiente armonia che ha guidato la mano del pittore Bernard Dufour a sostituire quella di Michel Piccoli: i confronti, le tensioni, le conclusioni che ne nascono - una volta tanto senza quel sospetto di schematismo teorico che disumanizzava molte delle sue opere anche interessanti - fanno di LA BELLE NOISEUSE l'opera forte ed accorata della sua maturità.


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