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LA BELLA E LA BESTIA
(BEAUTY AND THE BEAST)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 dicembre 1992
 
di Gary Trousdale e Kirk Wise (Stati Uniti, 1992)
Il musical è morto, viva Walt Disney.

Non è un caso se, per la prima volta nella storia degli Oscar, un film d'animazione è stato ammesso nella categoria riservata ai migliori film "tout court": un po' com'era già successo con ROGER RABBITT, grazie al proprio linguaggio, il cartoon s'emancipa e raggiunge nuove dimensioni. Certo, la fiaba risale addirittura al sedicesimo secolo, per la penna di Francesco Straparola: ma il mito è quello di Eros e di Psiche, e l'allegoria sessuale ha tale potere di seduzione da convincere, nel 1946, un intellettuale come Jean Cocteau a tradurlo in un film raffinato come quello celeberrimo interpretato da Jean Marais.

Alla premiata ditta Walt Disney non si può negare il talento di aver sempre saputo fiutare l'aria dei tempi: ed ecco che questa nuova LA BELLA E LA BESTIA è ancora un po' Biancaneve e Cenerentola, che tirano pur sempre; ma non manca di quegli aggiornamenti che incuriosiranno - o perché no, delizieranno - gli spettatori più smaliziati. Come la precedente SIRENETTA, infatti, il film nasce dall'intuizione di due musicisti, Howard Ashman e Alan Menken: che non solo compongono splendide canzoni (ma perché castrarle, doppiandole nella versione italiana che circola sui nostri schermi?), ma reinventano il solo mondo nel quale tutto era permesso, quello dell'immaginazione sfrenata ed ormai defunta della commedia musicale.

Più che nel film precedente, grazie probabilmente all'intervento dei due giovani realizzatori Trousdale e Wise, LA BELLA E LA BESTIA aggiunge una dimensione al disegno animato: quella spaziale. Non soltanto le celebri geometrie degli spettacoli di Busby Berkeley, o le coreografie di Donen, Minnelli o Gene Kelly: ma l'intervento, all'interno dello spazio del disegno animato, della terza dimensione creata dalla presenza fittizia - ma in effetti incredibilmente attiva - dello sguardo di una presunta macchina da presa. C'è allora un ballo straordinario, ad esempio, con Bella e la Bestia che volteggiano nell'immenso salone del castello: e la "cinepresa" che s'innalza come su una portentosa dolly, moltiplica gli angoli della ripresa, le diverse prospettive, ricrea l'illusione di uno spazio reale - poiché appartenente ad un'estetica esperta e codificata com'è ormai quella cinematografica - all'interno di quello supposto fittizio dell'animazione.

Non è solo innovazione tecnica: ma un modo di rimettere in questione finzione e realtà, fantasia visionaria e costrizione materiale. Il sogno di ogni poeta.

Un piede nella fiaba ed un altro nella realtà: se gli autori usano il computer per dinamizzare il cartoon, non dimenticano la buona, vecchia sceneggiatura per rimanere con i piedi per terra. Non solo l'azione è densa e compatta, ma i personaggi ci rimandano al presente in presa diretta. C'è una specie di bellimbusto rambizzante, che sogna non solo di portarsi a letto la bella, il che potrebbe anche essere pacifico: ma soprattutto di far fuori la bestia, con l'aiuto dei quattro soliti forsennati.

È la caccia al Diverso, l'incitamento all'odio del vicino, la manipolazione dei sentimenti più bestiali di coloro che qualifichiamo di umani: in epoca di naziskin e altre sottospecie più larvate, il messaggio che, con un po' di condiscendenza abbiamo sempre definito disneyano, capita proprio a fagiolo.


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