Orso d'argento al festival di Berlino di un anno fa, candidatura all'Oscar per il miglior film straniero, Das Boot Ist Voll è stato sicuramente il film svizzero dell'anno; e Markus Imhoof, uno dei nostri cineasti culturalmente più preparati, che aveva molto seminato (Rondo, fluchtgefahr, Tauwetter) e relativamente poco raccolto, si vede giustamente ricompensato. LA BARCA È PIENA ricorda un'affermazione del consigliere federale von Steiger: il nostro paese, durante l'ultima guerra, avrebbe raggiunto il livello di saturazione in fatto di rifugiati. Occorreva, allora, diventare più esigenti alle frontiere: ed ecco quindi gli ebrei sfuggiti ai nazisti venir rispediti in Germania, poiché non ritenuti rifugiati politici. Questo, perlomeno, fino al 1943, quando le sorti del conflitto incominciarono a delinearsi: divenne allora più semplice, per ragioni fin troppo evidenti, farsi accogliere in Svizzera.
LA BARCA È PIENA incomincia quindi al punto nel quale terminava il film più celebre che uno svizzero
aveva girato sui rifugiati: L'ultima speranza (1945) di Leopold Lindtberg, al quale il film di Imhoof è stato spesso avvicinato. Ma il concetto di ospitalità svizzera ha evidentemente subito una revisione in quasi quarant'anni. Come i precedenti, ma con ben maggior rigore, il film di Imhoof è un'opera di idee, di impegno morale e di analisi. Su un soggetto indubbiamente stimolante Imhoof ha costruito una solida sceneggiatura.
I dialoghi sono precisi, i personaggi forse un po' schematici, ma disegnati con mano ispirata. Si sente, ed è forse l'aspetto più giusto del film, la volontà di non volersi discostare dal rigore di una polemica rabbiosa
quanto accorata, ma di collocarla nel quotidiano. Nei visi, nei comportamenti, nei sentimenti di quegli svizzeri qualunque, che incontriamo ogni giorno.
Ed è probabilmente questa quotidianità del film che ne ha fatto la credibilità e, in un quadro cinematografico dominato spesso dai velleitarismi teorici, il suo successo internazionale.