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LA BALLATA DI STROSZEK
(STROSZEK)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 13 aprile 1978
 
di Werner Herzog, con Bruno S., Eva Mattes, Clemens Scheitz, Wilhelm von Homburg (Germania, 1977)
 

La fine delle illusioni. Una boccia di vetro, piena d'acqua, sospesa al soffitto di una cella, vicino ad una finestra. Attraverso questa lente deformante i prigionieri riescono a intravvedere qualcosa del mondo esteriore. Riflesse dalla finestra, che altrimenti sarebbe posta troppo in alto per permettere la vista al protagonista, le immagini della vita giungono così a Bruno S. Sono delle immagini, evidentemente, deformate. Delle proiezioni appena leggibili del mondo di fuori: uno spazzino che pulisce le strade, un passante, una luce. Degli ectoplasmi, delle illusioni. Bruno S. è un sempliciotto, ma saggio. Come diceva Voltaire del suo Candide, «possedeva un senso critico acuto, pur nella sua semplicità mentale: ed è, credo, la ragione per la quale lo chiamavano Candido». Bruno è in prigione per piccole malefatte, ed il film inizia con le formalità di scarcerazione.


Quelle immagini sognate, agognate, attraverso la boccia, l'ottimismo con il quale «Bruno, ora, inizia la propria vita» (con quel suo modo straordinario di parlare, in terza persona, riferendosi alle proprie vicende) ci presentano immediatamente, splendidamente, il tipico eroe dei film di Werner Herzog. Bruno è il fanciullo, il selvaggio buono che va incontro alla civiltà, alla società, al proprio prossimo con una fede totale, immacolata. E' AGUIRRE, che partiva pieno di illusioni alla ricerca del mitico Eldorado, è KASPAR HAUSER che da uno stato selvaggio si trovava improvvisamente confrontato con la vita «civile ». Ultime sequenze di STROSZEK: in una specie di luna park del Wisconsin, tra indiani di paccottiglia e fiocchi di neve sporca che soffiano dalle frontiere del vicino Canada, Bruno sale su una specie di seggiovia. L'ha avviata lui stesso, si è fuori stagione, ed il luogo è deserto. La seggiovia compie un breve tratto, ridiscende, riparte, senza sosta, immersa in una natura e circondata da una fauna imbalsamata e incretinita. Si sente uno sparo, e le ultime immagini sono quelle,della seggiovia che, gira, di un camioncino in fiamme, che gira, delle luci della polizia accorsa, che girano. Anche AGUIRRE finiva con un moto circolatorio, con la cinepresa impazzita che girava attorno alla zattera di Aguirre, il folle illuso disperso nell'Eldorado tropicale alla ricerca del tesoro nascosto. Il protagonista è ormai distrutto, rinchiuso in questa spirale inesorabile: le sue aspirazioni, la sua purezza, la sua fede sono state disintegrate dalle regole del vivere civile, dalla morale, dalla religione, dalla degenerazione che noi abbiamo imposto al mondo nel quale viviamo, dalla degenerazione della cultura che noi ci siamo tramandati (e che è il tema del capolavoro di Herzog, KASPAR HAUSER). Bruno S. è un personaggio straordinario: un individuo che Herzog ha trovato per KASPAR HAUSER, un uomo che ha vissuto le esperienze più tributate della vita, dal riformatorio in poi. Ed il regista ne ha fatto un attore o, meglio, un uomo che vive con una intensità incredibile la propria esperienza esistenziale. E qui la ripropone sullo schermo con quelle esitazioni motorie, con quelle difficoltà nel modo di parlare che servono impeccabilmente a tradurre le difficoltà di vita interne del personaggio.


Nella BALLATA DI STROSZEK l'aneddoto ci mostra Bruno che esce dal carcere, incontra una prostituta inseguita dai prosseneti, un vecchio amico, un merlo parlante. E tutti partono per l'America, alla ricerca della felicità. Vi ritroveranno, ovviamente, le regole crudeli di un modo di vivere identico a quello che conoscevano in Germania. E finiranno come detto. Ma il film non va letto come una critica al sistema di vita americano, come l'illusione della fuga per le strade degli Stati Uniti, alla EASY RIDER o al modo dei film di Milos Forman. Anche se l'ambiente, talvolta, ci spinge un poco in quel senso. Il cinema di Herzog tende invece, attraverso una ricostruzione apparentemente realistica, a raggiungere il fantastico. E'quello di uno straordinario visionario e, nei suoi momenti migliori, raggiunge punte di emozione espressive fortissime. Ci sono delle inquadrature ferme, immobili, come quelle del protagonista che assiste alla rimozione della propria «roulotte» confiscata dalle autorità. Sono dei momenti tesi fino al limite del sopportabile e attraverso i quali Herzog distacca lo spettatore dalla realtà delle immagini, forzandolo a riflettere, ad assumere un atteggiamento- critico. Stilisticamente, il suo impegno è altrettanto rigoroso che sul piano delle idee. Basti osservare con quale scrupolo la prima parte del film, quella tedesca, sia girata con spirito espressionistico (la bellissima sequen za del cantastorie nel cortile). Mentre la seconda, quella americana, si ispiri alla tradizionale illustrazione del genere, autostrade e pop music.


Per la prima volta Herzog ha girato un film contemporaneo. E questo fatto, forse, nuoce un poco al film: datare le storie, per Herzog, significava poter sfociare ancor più facilmente nel fantastico, nel mitico. Qui, talvolta i significati dell'opera vengono sviati da certe immagini che noi abbiamo della realtà (magari soltanto cinematografica) mostrata. In questo senso STROSZEK è forse meno unitario, meno coerente stilisticamente e quindi anche ideologicamente, di KASPAR HAUSER: nel quale la proiezione nel significato eterno, universale della vicenda non mostrava, mai, alcun cedimento. STROSZEK, in definitiva, non vuol essere una critica ad un sistema di vita ben preciso, del nostro mondo. O se lo vuol essere, soltanto in un secondo tempo. Come tutto il cinema del suo autore è invece una meditazione allegorica sui destini dell'individuo, sull'impossibilità per l'uomo di «buona volontà » di realizzarsi in un mondo dalle regole corrotte. Malgrado questo, il film contiene pagine di impareggiabile bellezza, di grandissima intuizione espressiva che fanno di Herzog uno degli uomini di cinema più grandi del nostro tempo. Ed è un peccato che un film così chiaro, così semplice, così commovente come questo non possa, per le regole assurde che dominano la distribuzione cinematografica e che confina il suo autore nel limbo dei registi ritenuti «non facili», essere ammirato e apprezzato da un pubblico più vasto. Pagine come quelle, simbolicamente e poeticamente perfette, del finale: dove Herzog ci mostra l'uomo, buono sensibile giusto, ridotto (come i polli. E i conigli del luna park) a pura rotella di un ingranaggio avvilente, innaturale ed assurdo. O come quella, forse la più bella di tutto il film, del neonato che si aggrappa disperatamente, con fede e fiducia sconfinate, alle mani che gli vengono protese. Qui la civiltà, la legge degli uomini, non ha ancora potuto operare il proprio intervento distruttore. Il neonato, come Bruno, come Aguirre, come Kaspar Hauser si aggrappa fiducioso alle illusioni di un mondo che ben presto, dice Herzog, ci respingerà crudelmente.


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