(Pubblicato all'origine su AZIONE del 23 ottobre 1985) :

HOHENFEUER rimane il film che la Svizzera dovrebbe spedire in dotazione alla cineteca dell'isola deserta. In poche parole: il film di Fredi Murer è uno dei capolavori (assieme al primo che viene alla mente, CHARLES MORT OU VIF e a non molti altri) del piccolo cinema nazionale.

A Fredi Murer - uno dei nostri uomini di cinema più intelligenti e discreti, e certamente l'unico ancora sottovalutato in un panorama artistico che sembra avviato, da qualche anno, ad un inaridimento creativo - riesce ciò che era sfuggito al Reusser di DERBORANCE portato a Cannes due anni fa: una cronaca verista, di commovente umiltà e di esaltante precisione (che già Murer aveva offerto nel suo esemplare, e regolarmente ignorato mediometraggio del 1974, WIR BERGLER IN DEN BERGEN) sull'esistenza degli abitanti, i più reclusi, delle nostre montagne.

Ma Murer compie un passo innanzi, quello che gli permette di accedere al cinema di pochi, al cinema dei poeti: il potere di trasfigurare la minuzia della realtà nell'esaltazione del soprannaturale. Di frantumare, amplificare all'infinito i significati dell'osservazione del quotidiano, facendoli accedere all'eternità ed alla universalità del metafisico.

Riuscendo meravigliosamente l'incontro fra i significati dei personaggi e del racconto con quelli dell'ambiente, dello sfondo che li accoglie, Murer risolve l'equazione che, sempre, sublima l'aneddoto in sintesi artistica. Così, una tragedia familiare, che avrebbe potuto essere anche semplicemente eccentrica, diventa testimonianza di una condizione eterna, di una meditazione che ci rende tutti partecipi. Permettendoci, nel contempo, di accedere alla più preziosa delle dimensioni, quella del meraviglioso.

(23/10/1985)