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HANA-BI
(HANA-BI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 novembre 1997
 
di Takeshi Kitano, con Takeshi Kitano, Kayoko, Kishimoto, Ren Osugi, Tetsu Watanabe (Giappone, 1997)
 
Contrasto esplosivo, già nel titolo, HANA (fiore) + BI (fuoco) = HANA-BI (fuochi d'artificio). Ma il risultato dell'equazione finisce per regalarci il film più equilibrato e più compiuto di uno degli autori più seguiti dell'ultimo cinema giapponese, il suo primo capolavoro estetico e poetico.

Certo, c'è la caccia all'uomo, una rapina alla banca che possono ricordare i toni del film che ci ha fatto conoscere il tarantiniano Kitano in Occidente, SONATINE. Ma a rendere indimenticabile HANA-BI è il lungo viaggio verso il mare, verso l'ignoto, verso una tardiva conoscenza reciproca del protagonista con la moglie malata terminale. La violenza yakuza ormai definita postmoderna del regista si volge allora in una essenzialità stilistica, in una epurazione di ogni elemento superfluo dalla rappresentazione. E, sorprendentemente, in indicibile tenerezza; o in humour sdrammatizzante, come in quei luoghi della cultura tradizionale giapponese visitati come luna park ad uso e consumo turistico.

Nato nel montaggio più spregiudicato, incurante di una progressione drammatica tradizionale, di una cronologia che il regista aveva in un primo tempo adottato, sul filo dei piani-sequenza privi di movimenti di macchina che accentuano la formidabile staticità dell'attore Takeshi, su un uso altrettanto spregiudicato dei flash-back, HANA-BI evolve formalmente con la grazia e la coerenza del tema trattato. Perché il cinismo violento delle regole dinamiche del poliziesco si volgano nella rappacificazione di un lirismo dai significati universali. Viaggio dall'assurdità ludica dei colpi da fuoco che finiscono in decorazioni pirotecniche, dal grottesco urbano alla melanconia sognante di una spiaggia deserta, HANA-BI è come una costruzione all'indietro, alla ricerca di una innocenza infantile perduta per sempre. Più che costruita, intuita. Sugli equilibri instabili e miracolosamente posseduti che soli appartengono agli artisti. Leone d'Oro alla Mostra di Venezia 1997.


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