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HAMMETT Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 giugno 1983
 
di Wim Wenders, con Frederic Forrest, Peter Boyle, Sylvia Sidney (Stati Uniti, 1982)
 
Ne LO STATO DELLE COSE, il film che Wenders ha girato in una pausa della lunghissima (4 anni) e travagliata produzione di HAMMETT, e che sembra iscriversi come un capolavoro nella carriera del regista tedesco, si dice praticamente una sola cosa. Che il dramma per il creatore è quello di raccontare una storia. 0, se preferite, di riprodurre la realtà. Ogni storia, ogni tentativo di rappresentare la realtà è un passo che avvicina cosi alla morte.

Diceva un altro grande del cinema moderno, Godard, la storia, in un film, rappresenta il potere del produttore. Al regista non rimane che affidarsi all'immagine. HAMMETT è la dimostrazione di come il cinema nasca da questo conflitto. I pregi e i difetti del film sono il risultato di uno scontro fra produzione e regia, che produttore (Francis Coppola) e regista hanno precisamente cercato: in questo senso HAMMETT è una riuscita perfetta. Si basa su un ottimo romanzo di Joe Gores, e descrive il 1928, un momento ben preciso della vita di Dashiel Hammett, il celebre scrittore di romanzi polizieschi. Fino ad allora Hammett scriveva in prima persona, basandosi sulla propria esperienza d'investigatore presso l'agenzia Pinkerton. A partire dal 1928 crea il personaggio di Sam Spade, inizia a scrivere in terza persona, rinnega la filiazione al detective di Pinkerton al quale si era ispirato sino a quel momento. Se noi pensiamo a quanto il cinema di Wenders sia legato al tema della ricerca del padre, se noi vediamo in Hammett un personaggio, Ryan, che dice al protagonista "mi devi tutto ciò che sei", e ancora, "ti guadagni da vivere con il mio personaggio", comprendiamo facilmente perché Wenders abbia voluto girare il film.

Il mistero della creazione, il confine difficile fra realtà e fantasia, il conflitto che ne LO STATO DELLE COSE si condensava nell'angoscia di un regista alle prese con una storia da condurre a buon fine, qui si riconduce logicamente al personaggio dello scrittore-investigatore. Nella continua riproposta fra i personaggi fittizi e reali del fIlm, che la sceneggiatura ha tessuto e alterato con consumata abilità. Ma HAMMETT, ed è Wenders stesso ad averlo dichiarato è anche un soggetto nel quale la storia, sempre lei, conta poco, interessa scarsamente.

Eccoci allora allo scontro storico: fra colui al quale interessa la storia, il produttore Coppola, e il regista Wenders, al quale interessano rapporti più sottili. Eccoci quindi ai quattro anni di produzione del film, alle quaranta (...) sceneggiature consecutive, alle interruzioni delle riprese. Al termine di tutto ciò Coppola imporrà a Wenders di rigirare tutto in tre settimane, seguendo il filo di una logica "produttiva", quello di una storia; e dimenticando le dimensioni, assai più aleatorie, dei fantasmi creativi.

HAMMETT, il film, rispecchia esattamente questa situazione: ecco perché i suoi pregi, ma anche i suoi difetti, ci toccano e ci commuovono. Come in quel cinema americano che questo tipo di rapporto creatore-produttore soleva ricreare, l'arte della scrittura si ritrova fra le righe di un discorso spesso risaputo, se non addirittura sconnesso. Più che ricreare l'atmosfera, il mito di un certo cinema d'epoca americano, (com'era il caso con CHINATOWN di Polansky, ad esempio) il film di Wenders riproduce la matrice che conduceva a quel cinema. La dialettica fra il controllo di Coppola che si sente sul film e le libertà che Wenders riesce egualmente a prendersi costituiscono il segreto del fascino del film. Non importa quindi tanto il fatto che l'intervento di Coppola porti ad una storia piena di scompensi, un montaggio che non rende sempre facilmente comprensibili le cose un ambiente (lo studio) che è lecito chiedersi se sia congeniale ad un regista abituato agli spazi aperti. Importa che l'arte wendersiana sfugga continuamente a queste costrizioni. Nel modo di filmare il movimento dei personaggi fra le pareti ristrette dello studio. O di captare lo sguardo degli attori, e di costruire sull'asse di quello la scena che segue. Nel modo di descrivere la violenza improvvisa, inaspettata e quasi noncurante. Nella pittura, stupenda, delle figure di contorno: la donna del piano di sotto, cosi tipicamente legata all'universo dei gialli. Lo straordinario dottore dell'obitorio, con le sue risate e i tredici figli. Il tassista ed i poliziotti: sono infiniti spiragli attraverso i quali, in una meccanica di comodo, finisce coll'irrompere la poesia.

Cosi proprio in questo scontro fra due concezioni della creazione cinematografica, in questa somma di alti e bassi, d'intuizioni espressive e di mortificazioni strutturali, finisce col giustificarsi l'impresa di HAMMETT. Quattro anni tormentati e drammatici come pochi nella storia delle produzioni cinematografiche dell'ultimo decennio. Quattro anni che avranno finito col darci un capolavoro, LO STATO DELLE COSE, e un film ineguale, altamente rivelatorio e sempre interessante, a tratti folgorante (Hammett che rincasa sotto lo sguardo dei bambini accovacciati sulle scale) di bellezza incontenibile.


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