Eppure non credo proprio che GENERAL IDI AMIN DADA sia un film razzista, come lo sono, ad esempio quelli di Jacopetti. Nel mostrarci l'elementarità, la mancanza di cultura, e anche l'intransigenza, la bigotteria e la presunzione del personaggio, Barbet Schroeder denuncia gli uomini e le situazioni che sono a monte di quello stato di cose, la tragedia del colonialismo e delle sue conseguenze. Che trovano nello straordinario personaggio Idi Amin Dada una personificazione drammaticamente eloquente.

E' uno sforzo minimo che si richiede allo spettatore: ma che il regista indubbiamente richiede. Come risulta assai evidente dalle ultime, commoventi immagini, i primi piani del generale nella sua prova più difficile, l'incontro con i medici. Nei lineamenti tirati, nello sguardo quasi implorante, teso a comprendere, ad uscire dal suo stato di segregazione spirituale nel quale da sempre è stato tenuto, c'è un terribile atto di accusa contro il mondo colonialista, un istante di folgorante rivelazione che nobilita e significa l'intera pellicola. Che è un viaggio compiuto a ritroso, alla ricerca delle prime leggi che ci hanno governato, di una situazione primordiale che noi abbiamo violentato ed alterato definitivamente.