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GALLINE IN FUGA
(CHICKEN RUN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 gennaio 2001
 
di Peter Lord e Nick Park (Gran Bretagna, 2000)
 
Nel panorama dell'animazione, dominato per anni dalla tradizionale qualità ma pure dal perbenismo della celebrata ditta Disney, due inglesi si sono distinti a partire dagli anni ottanta per il loro salutare rifiuto al conformismo imperante. Autori della celebre e plurioscarizzata serie di Wallace e Gromit, Nick Park e Peter Lord hanno avuto non solo il merito d'innovare una tecnica vecchia come il cinema, quella dell'animazione dei pupazzi di plastilina costruiti attorno al filo di ferro. Ma d'imporre un loro tono particolare, al tempo stesso impertinente, assurdo e poetico: operazione che ora tentano di riproporre sotto forma di lungometraggio, visto che i due sono passati alle dipendenze della onnipotente DreamWorks di Steven Spielberg.

Atteso e reclamizzato da mesi come il più originale fra i prodotti destinati all'inflazionato ma sempre redditizio mercato natalizio, CHICKEN RUN (GALLLINE IN FUGA) conferma la classe dei suoi autori, ma anche i limiti di un'arte minimalista. Che non a caso si era sempre costruita sui tempi brevi dei cortometraggi, degli spot, dei clip pubblicitari.

Sulla carta, l'idea d'introdurre la bassa corte in un pollaio - lager, di architettare attorno a questa modesta categoria di pennuti lo schema drammatico dell'evasione dal campo di prigionia, di far indossare a polli e galline gli archetipi di tutta una serie di eroi del genere aveva un che di spregiudicato. E la certezza che i risultati tecnici sarebbero stati altrettanto clamorosi: digitale o meno, la plastilina ha un che di casalingo destinato a sedurci. Ma, ormai, di quali stravaganze tecnologiche la generazione avvezza alle manipolazioni numeriche può ancora meravigliarsi? Rimane, allora, lo spasso -tutto intellettuale- di ritrovare i polli fra i resti mitici di tanti riferimenti cinematografici. Cosi, lo stalag è la replica esatta di quello di LA GRANDE FUGA (1963) di John Sturges: qualcuno ha detto di un HELZAPPOPIN ai confini de LA LISTA DI Schindler. Limitiamoci a notare tutta una serie di citazioni: dallo STALAG 17 di Billy Wilder, naturalmente, agli accenti marziali del PONTE SUL FIUME KWAI, alle disavventure a catena di Harrison Ford in INDIANA JONES.

Tutto bello, piuttosto divertente e magari colto. Rimane il fatto che Park e Lord non fanno del disegno animato. Ma introducono i loro pupazzi in uno spazio realistico, retto dalle stesse regole che condizionano le storie ed i personaggi in carne ed ossa: fatte di campi e controcampi, prospettive e primi piani, accostamenti ed effetti di montaggio. CHICKEN RUN diventa allora un film di certo più umano; ma meno fantastico. Meno astratto, ma più fallibile: con la sua progressione drammatica anche lenta e ripetitiva, i riferimenti a volte pesanti, quei buoni e quei cattivi cosi schematici da intaccare la grazia smussata della plastilina.


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