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FA' LA COSA GIUSTA
(DO THE RIGHT THING)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 25 gennaio 1990
 
di Spike Lee, con Danny Aiello, Ossie Davis, Ruby Dee, Spike Lee, John Turturro, John Savage, Samuel L. Jackson, Rosie Perez (Stati Uniti, 1989)
 
Come si passa da un cinema d'istinto, d'ispirazione e di talento ad un altro tipo di cinema: che s'iscrive nella storia delle genti, oltre che nella memoria degli spettatori? Co ciò che a casa, come a scuola, ci sconsigliavano vivamente, gli sbalzi d'umore.

In DO THE RIGHT THING (che molti considerano il vincitore morale dell'ultimo festival di Cannes), tutto capita a tre quarti del film. Perché prima, il gioco quadra. Come negli Spike Lee che avevamo adorato da quando Locarno ci aveva rivelato il suo primo JOE'S BARBERSHOP: rinvio esaltante dal ritmo delle immagini a quello della musica e dei suoni, schizzi graffianti di marginali ai limiti fra la grafica cartoon e la gag surrealista, dialoghi e gestualità esilaranti. In nome di quell'inimitabile ritmo dell'improvvisazione nera, di quel modo distaccato - cool, appunto - di far cultura; che molti bianchi, artisti e non, cercano penosamente di scimmiottare da tempo.

In un'unica scenografia - una strada di Brooklyn -, in una sola giornata - la più torrida dell'anno - eccoci dinanzi al campionario black: tutto quanto (dal ragazzino con le immense basket, alla maschietta con le tette a punta ed il disc-jockey dal berrettino folle) serve al bianco. Ed al suo spettacolo.

Meno rilassato che in precedenza, tremendamente controllato nell'uso del colore, della musica (il rap ha sostituito il jazz), dello spazio o della direzione d'attori, Spike Lee assomiglia qui a un Capra o ad un John Ford: Perez dipinge l'America. Quella di un quartiere di soli negri. E poche intrusioni: i portoricani - e la loro musica -, i coreani - ed il loro droghiere - e gli italiani. Sal, 25 anni di famous pizza, ed i suoi due figli, uno integrato, l'altro ostinato.

Qual'è la forza di Lee? Di metter giù, in ordine perfetto, il melting pot di sempre. Con calma, nel ritmo indiavolato, con lucido distacco. Senza manicheismi, senza apriorismi: bianchi o neri, buoni e cattivi, irritanti o commoventi, ma dalle due parti. Senza vinti, o vincitori: come sarebbe stato tutto più semplice, e più sciocco, dar la colpa all'uno o all'altro... Qual'è la forza di Lee? Di buttare all'aria tutto quell'ordine che tanto ci piaceva: proprio quando incominciavamo a godere.

Fai la cosa giusta: ed il negretto tira via per la sua strada. Quand'è ora, è ora: allora, a tre quarti cambia marcia, sceglie hate, dimentica love, Malcolm X per Luther King. Quella che, nella sorpresa di Cannes, era apparsa a molti come una sgradevole rottura di tono (in un mondo che sempre più s'accomoda delle mezzetinte di "buon gusto") diventa ormai - pochi mesi più tardi - straordinaria intuizione: giullari in guerrieri, asce di guerra per ramoscelli d'ulivo, tragico per comico, DO THE RIGHT THING non cessa per questo d'essere quello che era, una constatazione..

Compiuto il misfatto, il bianco ed il nero si ritrovano come prima, sul marciapiede zeppo di cocci: né amici o nemici, semplicemente diversi. In un mondo che li vuole diversi: con buona pace per Eddie Murphy, Michael Jackson ed integrati vari, il negretto Spike Lee, chi l'avrebbe mai detto, ha scelto di farlo. Ed ha firmato uno dei pochi film autenticamente militanti che il cinema ci abbia offerto finora.


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