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E' PIU' FACILE PER UN CAMMELLO ...
(IL EST PLUS FACILE POUR UN CHAMEAU...)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 luglio 2004
 
di Valeria Bruni Tedeschi, con Valeria Bruni Tedeschi, Chiara Mastroianni, Jean-Hugues Anglade, Denis Podalydes, Emmanuelle Devos, Roberto Herlitzka, Lambert Wilson (Francia, 2003)
 
E' la storia di una emigrante, straricca. Succede, talvolta; quando si porta il nome di Valeria Bruni Tedeschi, attrice di punta del cinema moderno di Bellocchio e Calopresti, Ferreira-Barbosa, Chéreau e Lvovsky. Succede, quando si traccia la storia della propria famiglia, dell'Italia delle Brigate Rosse che i Bruni-Tedeschi abbandonarono a Torino quando la protagonista aveva sei anni, per trasferirsi a Parigi in compagnia di alcuni Guardi e di un Breughel da appendere alle pareti. Succede; che questi fastidi in parte grassi si trasformino in male di vivere. Quando, diventati adulti, si circola in Jaguar per le vie di Parigi con accanto il compagno della propria vita che intona a squarciagola l'Internazionale.

Opera prima pensata a quattro mani con la Noémie Lvovsky che l'aveva perfettamente intuita come attrice, prodotta da Mimmo Calopresti e Paolo Branco, E' PIU FACILE PER UN CAMMELLO avrebbe potuto essere un film sul sentimento di colpa: quello biblico suggerito dal titolo, per cui è più facile che ad un cammello riesca a passare per la cruna di un ago che per un ricco accedere al regno dei cieli. Avrebbe potuto compiacersi tra turbe psicosomatiche e sieste dallo psichiatra che, a non possedere la sublime leggerezza di un Woody Allen pesano oramai come un macigno. Oppure, una volta deciso di risalire ai ricordi dell'infanzia torinese di quegli anni di piombo, disperdersi nelle rimasticature sfumate in pastello delle esercitazioni proustiane e delle interpretazioni freudiane; o, ancora, nei leziosismi di una mondanità giustificata da una famiglia altolocata o dalla presenza patinata di una sorella glamour come poche altre. Insomma, fatto da qualcuno semplicemente alimentato dall'aria del tempo questo film sarebbe risultato del tutto insopportabile.

Succede il contrario. Che il film, lungi dalla passerella narcisistica dell'attrice che vuol dimostrare di riuscire anche dall'altra parte della cinepresa, riesce a sorprendere, stimolare e commuovere. Autobiografia di qualcuno che senza timore di esibirsi, espone sé stessa assieme a chi le sta attorno. Cosi, grazie ad una direzione di attori assolutamente perfetta, se il padre è il solito, bravissimo Roberto Herlitzka, le sorprese vengono dalla giustezza della madre (che è quella vera dell'attrice, Marysa Borini), o da una Chiara Mastroianni che raramente abbiamo visto cosi ispirata. Pittura tenera e feroce di un vuoto esistenziale; come quella del fratello (Lambert Wilson) che candidamente confessa di aver appena rifatto il giro del mondo; ma nel senso inverso alla prima volta, perché è molto meglio. Coraggio; ma inventiva e leggerezza di una visione che sa scivolare dalla realtà al sogno, dalla constatazione sociale al profilo psicologico, dalla crudeltà dell'amarezza al divertimento del disincanto.


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