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ED WOOD
(ED WOOD)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 maggio 1995
 
di Tim Burton, con Johnny Depp, Martin Landau, Patricia Arquette, Bill Murray (Stati Uniti, 1995)
 
"Il cinema di Tim Burton è sempre stato quello della fragilità e della diversità; del modo della società di approfittare di quella fragilità, e del nostro ostracismo nei confronti di quella diversità.

Cinema del doppio, dove ogni verità, ogni certezza vale quanto il proprio contrario, dove i cattivi lo sono soltanto a metà, ed i buoni non esitano a ricorrere ai sistemi dei cattivi pur di raggiungere il proprio scopo. E cinema delle maschere: che ricoprono i visi non tanto di coloro che vogliono nascondersi (i killer dipinti da clown di BATMAN), quanto di quelli che non possono permettersi di lasciare trasparire la propria fragilità, purezza, ipersensibilità (i celebri costumi di Batman o della Catwoman; ed ora il travestismo - unica cosa rimasta celebre nei tempi - di Ed Wood). Mentre a viso scoperto sono i veri perversi: perché la loro ipocrisia li veste già delle più disparate mistificazioni.

Questi, ed altri temi di uno dei cineasti americani dal quale ci si attende di più nei prossimi anni, sono presenti in questo suo ultimo ED WOOD, freschissimo da Cannes. Con una differenza: che, per la prima volta, l'eroe woodiano non appartiene all'universo privilegiato del regista, quello della fiaba, del Meraviglioso dove i personaggi o gli oggetti più eccentrici, le psicologie più strambe ma pur sempre astratte riescono a piegarsi ad una logica umana. Questa volta Ed Wood è qualcuno in carne ed ossa, effettivamente esistito e vissuto nella Hollywood degli anni Cinquanta, regista di film apparentemente raffazzonati a piccolissimo budget, morto a 53 anni, nel 1978, nell'abbandono più totale. E riscoperto quindi da due critici nel 1980 come autore di film di serie Z, diventati poi opere - come si definiscono oggi - di culto: anche grazie alla formula fortunata usata dai suoi, ahimè, tardivi esegeti: quella di "il peggiore regista della storia del cinema".

Di tutto ciò - come dubitarne - Tim Burton fa tutto il contrario rispetto alla tradizione hollywoodiana: non un "biopic", non la vicenda più o meno lacrimosa o celebrativa sul genio misconosciuto che per fortuna ci ho pensato io a riabilitare...Come dice Burton: "quando Wood paragona i suoi film a CITIZIEN KANE, è certamente il solo al mondo a ritenerlo!" Burton se ne appropria invece per integrarlo al proprio universo: e ne fa un diverso (per certi aspetti più commovente di un Batman poiché simile a noi, e non inventato dai fumetti), un inventore di illusioni: e quindi un poeta. Solo in questo senso Ed Wood è simile all'Orson Welles che gli fa incontrare (in una delle scene più riuscite) sul finale del film: anche se Welles faceva dei capolavori, e Wood dei tentativi d'invenzione primitiva, naïf, ed in parte sballata, i due erano egualmente respinti dalla "normalità" hollywoodiana, ritenuti mezzi svitati, ed eventualmente geniali. Erano, innanzitutto, degli artisti animati dalla medesima passione, dal rifiuto di piegarsi al conformismo del sistema; animati dal medesimo entusiasmo creativo, dalla grazia poetica di abbandonarsi alla fantasia ed all'illusione.

Burton immerge Wood in una famiglia di stravagante e commovente anormalità: il mitico Bela Lugosi nel suo universo di vampiri (al quale Martin Landau presta un'interpretazione indimenticabile, giustamente segnalata dall'Oscar), Bunny Beckendridge dall'ambiguità sessuale assai più pronunciata di quella del protagonista, la celebre Vampira in presa diretta con i disegni di Charles Addams, il gigantesco Tor. Tutto un mondo che si situa agli antipodi di quello che regna all'esterno: sfasato e quindi assai più vero, più giusto e generoso di quello che calcola al polo opposto, fra quei "cattivi" che ora Tim Burton non ha più bisogno di vestire da clown o da pinguino come nelle sue favole precedenti.

ED WOOD s'inserisce allora, con un'adeguatezza culturale, un'intelligenza creativa fuori dal comune nella traccia artistica del cinema di Tim Burton. E testimonia della coerenza, della vitalità inestinguibile di un certo cinema americano. Malgrado ciò, e per delle ragioni quasi imponderabili (una staticità dovuta alla mancanza - voluta? - di una progressione drammatica, l'interpretazione impegnata ma freddina di Johnny Depp, un approccio più intellettuale che emotivo?) non si entra con grande facilità nell'ultimo film di Tim Burton. È un po' quello che già succedeva con il precedente THE NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS: si rimane a bocca aperta nei confronti di una cultura non solo cinefilica, di un'intelligenza creativa. E, al tempo stessi, un po' perplessi nei confronti di una bravura che arrischia di farsi se non compiaciuta, quasi auto celebrativa."


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