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ECCO L'IMPERO DEI SENSI (AI NO CORRIDA) Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 aprile 1979
 
di Nagisa Oshima, con Tatsuya Fuji, Eiko Matsuda, Aoi Nakajima, Melka Seri (Giappone, 1976)
 

All’origine del film un fatto di cronaca realmente accaduto: nel Giappone del 1936 una giovane impiegata d'albergo uccide ed evira il proprio padrone e amante. Il tutto, con il consenso della vittima. Di questo fatto, che emozionò il Giappone profondamente, al punto di fare di Sada, la protagonista, un personaggio emblematico, Nagisa Oshima non vuol fare oggetto di cronaca realista. E nemmeno di riflessione sociale. Né, tantomeno, di moralismo. L'Impero dei sensi è la descrizione di una lunga ascesa verso l'assoluto. O, se preferite, di una vertiginosa discesa verso gli inferni. Con il loro amore folle, assoluto, i due amanti si escludono, consapevolmente, dalla cellula sociale. Vengono osservati dagli albergatori che ospitano i loro ininterrotti amplessi, dalle geishe, da qualche passante. Ma il mondo che li circonda scompare progressivamente, lasciandoli soli nella loro corsa verso la fine. Per Kichi e Sada l'amore reciproco non può che terminare con il possesso totale reciproco, e cioè con la morte. Il termine supremo della loro congiunzione parossistica è lo sfinimento totale, condizione indispensabile per il raggiungimento della loro unione.

Tutto il film di Oshima tende a far accettare allo spettatore un principio: che al culmine della propria passione amorosa l'uomo, Kichi, accetti l'orgasmo totale, la morte. E un mezzo solo aveva l’autore per ottenere questo risultato: fare un film privo di concessioni. L'amore descritto nel film si situa al polo opposto di quello al quale il cinema ci ha abituato per tanti anni: l'amore del cuore, degli sguardi, del linguaggio. Ma non quello del desiderio. Si situa al polo opposto, egualmente, del cinema pornografico, fatto di maldestre e grottesche esercitazioni meccaniche. L'Impero dei sensi deluderà gli amanti dell'erotismo cinematografico di bassa lega. Non è un film erotico, ma un film sull'erotismo. Un film che non provoca eccitazione. Semmai angoscia: perché ogni istante del rito d'amore descritto ci avvicina a quello della morte.

L'atto sessuale dei due protagonisti diventa così una specie di balletto, fatto di infiniti (quanto improbabili materialmente: ma, certo, questo non è il punto del film...) atti sessuali: un cerimoniale che diviene vieppiù astratto, un lucido preludio al sacrificio finale.

Stilisticamente, tutto il film di Oshima tende alla costruzione di quell'ascesa verso l'assoluto. Nella tradizionale semplicità geometrica degli ambienti giapponesi la macchina da presa esclude progressivamente i protagonisti dal mondo, isolandoli nel loro dramma, bagnandoli di una luce monocroma, rinchiudendoli nei limiti delle pareti. Il rigore delle geometrie, sia degli ambienti che dei movimenti di macchina, diventa il rigore del rito di morte che si va compiendo. L'assoluto nel desiderio come l'assoluto nella purezza? Non è facile decidere dell'autenticità d'ispirazione di una forma di cultura così particolare, così diversa dalla nostra, com'è quella giapponese. La risposta è probabilmente nell'opera futura di Nagisa Oshima.    


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