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DANCER IN THE DARK Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 maggio 2000
 
di Lars von Trier, con Björk, Peter Stormare, Catherine Deneuve (Danimarca, 2000)
 
DANCER IN THE DARK non sarà il film più bello dell'anno, ma di certo il più discusso. Ancor più che in BREAKING THE WAVES (LE ONDE DEL DESTINO) Lars von Trier scatena le polemiche, divide coloro che lo adorano da quanti lo detestano, stupisce, irrita. E recidiva. Cavalcando furiosamente (furbescamente?) il destriero poetico più adatto all'uopo: il melodramma, la tragedia musicale addirittura. E che tragedia. Quella di una piccola immigrata cecoslovacca dal profilo lappone (la celebre pop-star islandese Björk), impiegata in una fabbrica negli Stati Uniti degli anni Sessanta ad ammazzarsi in rischiosi supplementari: per racimolare i soldi di un'operazione chirurgica destinata al figliolo, colpito dalla sua stessa malattia che la sta portando alla cecità. Che evade dal proprio calvario sognando di partecipare a sequenze di musical, che è circondata dall'affetto generale, ma che si ritrova il buon vicino di casa che le ruba i risparmi cosi atrocemente risparmiati. Costringendola al delitto, alla condanna, all'espiazione.

Un'altra martire, insomma. Caparbiamente convinta, come l'indimenticabile Emily Watson del film precedente, che sia soltanto grazie all'assoluta abnegazione nei confronti dell'essere amato, all'annullamento totale di sé stesso, al sacrificio supremo, sordo alle opinioni apparentemente più realistiche e bene intenzionate di coloro che ti stanno accanto che si riuscirà a salvarlo. Un cammino che si contrappone alla ragione, misterioso ed obsoleto: fede o coerenza, semplicemente amore ("ascolta il tuo cuore", ripete l'ostinata Selma all'infinito) o misticismo, aspirazione al martirio. O più o meno stolta, incosciente cocciutaggine. Perché, ed è uno dei limiti del film (anche nei confronti della più astratta, quindi più accettabile abnegazione di BREAKING THE WAVES), è pur vero che le regole del melodramma, e quelle della commedia musicale sono state inventate proprio per permettere ogni libertà. Ma ad una condizione: che delle vicissitudini al limite del probabile siano dettate dai capricci incontrollabili di un pur malevole destino. E non da quelli di una scelta (come qui: quando, senza svelarvi la trama, l'eroina potrebbe salvare il figlio senza necessariamente sacrificare sé stessa)) volontaria.

Furbo o sincero, cinico o generoso, Lars von Trier è senza ombra di dubbio qualcuno che ama impossessarsi dello spettatore, imprigionarlo in una trama di sentimenti, emozioni, riflessioni condotte al limite del ragionevolmente sopportabile. In breve, un manipolatore. Ma non è proprio l'arte della manipolazione quella che sottintende ogni creazione artistica? Riconosciamo allora che se il pensatore fa di tutto per irritare, il creatore indubbiamente fa ciò che gli compete: stupire ed inventare. E non solo perché ad ogni svolta di quel cammino della croce il regista danese offre alla sua poverina quanto di più consolatorio gli offra il mito cinematografico, il musical. Al regno delle nostre malefatte, della malattia e dell'ingiustizia, del lavoro e del denaro, quello del sogno e dell'incanto. Quello nel quale, come dice Selma, "non succede mai niente di brutto". Ma perché, fotografate dal celebre Robby Müller secondo le nuove tecniche DV, le tinte slavate, il taglio delle sequenze (utilizzando gli "scarti", le prove delle scene) la trama delle immagini raffinatamente elaborate, le realtà terrene ed i sogni musicali di DANCER IN THE DARK si organizzano in modo certamente straniante. Una sequenza onirica, coreografata, come quell'ultima panoramica squisitamente elegiaca che la piccola operaia si concede sull'universo che la circonda prima di perdere la vista, s'imprime nella memoria. E se i traballamenti della camera a spalla sono a rischio di conato non so fino a che punto giustificato, è difficile non riconoscere alla Palma d'Oro dell'ultimo Cannes una costruzione sempre sorprendente e destabilizzante. Non è poco, nell'universo insopportabilmente ripetitivo del cinema computerizzato.

Imbruttita, maltrattata ai limiti del sadismo, Björk è straordinaria: e non solo quando la sua voce si fa evasione folgorante dal mondo tenebroso della protagonista, la sua figura trasporta con energia incredibile l'intensità poetica del film. Ma tutti gli altri personaggi sono (paradossalmente, viste le incoerenze narrative) perfetti: da Catherine Deneuve, sensibile e toccante come raramente, a Peter Stormare, nelle vesti giustissime di un innamorato respinto che con qualsiasi altro regista sarebbero apparse perlomeno idiote. Strano, destabilizzante ed irrazionale - e probabilmente proprio per questo generatore di cosi violente e contrastanti reazioni - DANCER IN THE DARK è destinato al rigetto da parte dello spettatore che rifiuta di concedersi in ostaggio ad un artista. Agli altri, a coloro ai quali non dispiace lasciarsi trasportare da quel genere di voleri, il film regalerà meraviglia e consolazione. A dispetto del buonsenso.


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