Due anni dopo l'esordio di DELITTO E CASTIGO gira un film più che piccolo, un film gag. Se non fosse che nella forte poetica del regista finlandese è già significativo: "mi sono detto che, dopo Dostojevski, tanto valeva cadere dal più basso possibile. Girando praticamente senza budget, ho voluto andare in controtendenza secondo l'abitudine in auge di rifare con il secondo, un primo film in più grande e più artistico: ho fatto l'opposto, cercando di ottenere il film più nullo e disastroso possibile".

Ma le cose non stanno esattamente come in quel tipico paradosso kaurismakiano. La vicenda di quello che il regista francese Jean-Pierre Gorin aveva definito I VITELLONI girato da Dreyer è a dir poco minimalista: 17 personaggi chiamati tutti Frank per comodità e presi di peso dal documentario sul rock girato con il fratello Mika qualche anno prima, decidono di attraversare Helsinki per raggiungere un mitico quartiere situato al lato opposto della metropoli. Una road-movie tra la comicità e la disperazione, la realtà e la metafora. Mini storie inventate all'istante;, e subito abbandonate ("come faceva Bunuel ai tempi di L'AGE D'OR") appena lo spettatore ne avesse afferrato il senso.

Ma, immerso come sempre nell'alienazione di un ambiente urbano reso potentemente, nel consueto, sfavillante sottofondo musicale, nell'impagabile resa di quei musicisti-attori, un amalgama al tempo stesso confuso e significativo. In quanto già consapevole di quella casualità esistenziale che diventerà uno dei grandi temi del regista, di un senso dell'assurdo che sa farsi critica sociale, di realismo sordido che sa sublimarsi in sguardo poetico.

Come in quel finale già memorabile, che il regista riprenderà in molti dei suoi film più celebri, con la barchetta dei due balordi sopravvissuti che, dopo essersela data a botte sul bagnasciuga, salpano remando verso ...l'Estonia.