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CACCIATORE BIANCO, CUORE NERO
(WHITE HUNTER, BLACK HEART)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 25 maggio 1990
 
di Clint Eastwood, con Clint Eastwood, Jeff Fahey, George Dzundza, Marisa Berenson (Stati Uniti, 1990)
 
"Ci sono molti modi per guardarsi allo specchio, per osservare ciò che ci sta attorno ma più ancora ciò che ci sta dentro. Questo di Clint Eastwood, più conosciuto per i suoi ruoli di poliziotto dai seducenti occhi d'acciaio che per quello pur notevole d'autore (PLAY MISTY FOR ME, HONKYTONK MAN, SUDDEN IMPACT, PALE RIDER, BIRD, ecc.), è tra i più affascinanti. Perché nasce da lontano, facendo un film su qualcuno che faceva dei film: il grande John Huston che, come ci racconta il suo sceneggiatore di allora Peter Viertel, sembrava più interessato ai safari che alla preparazione di quel LA REGINA D'AFRICA, poi diventato ciò che sapete.

Affascinante, perché già nella sua corteccia esteriore, nel procedimento che porta alla fattura di un film, CACCIATORE BIANCO, CUORE NERO si sovrappone esattamente al modello al quale s'ispira. Proponendone le medesime ragioni d'evidenza e di mistero. Cos'era infatti il cinema di Huston, come quello di Ray, di Preminger, Minnelli, Sirk, e tanti altri, cos'era il cinema di Hollywood (tolto che per pochi, potenti o privilegiati) se non quello della dissimulazione? L'arte di dire una cosa, per spiegarne un'altra: dapprima per sfuggire ai condizionamenti della produzione, a quello dei codici morali. Poi, per una sorta di abitudine al sistema, fino a farne un'estetica precisa: molto cinema di Hollywood, e del più grande, deve tutta la sua bellezza, tutta la sua fatica in quell'andare a scoprire il recondito, a scovare quella specie di doppio gioco. Proprio così, esattamente come il genere di cinema al quale si appresta a rendere omaggio, CACCIATORE BIANCO racconta una cosa, pensando ad un'altra. Liberissimi, quindi, di vedere nel film di Eastwood la vicenda del regista amante del whisky e dell'avventura e nemico degli elefanti, del produttore, Sam Spiegel, con dovuti sigari e bermuda bianchi; e di Bogart, Bacall, e Hepburn. E di paesaggi splendidi, animali intatti, e gloriosi resti di colonialismo ormai a pezzi.

Ma più che da quella del CACCIATORE BIANCO, il film è da scoprire dalle parti di CUORE NERO. Dai sussulti premonitori di una prima parte, un po' lunghetta: il bisticcio per "Hollywood" usato come un insulto, un ritratto, con aggiunta di baffetti appropriati che la fanno assomigliare ad Hitler, di una bella donna antisemita, due pugni in faccia all'albergatore razzista. Fino all'elefante. Che non è tanto un elefante (anche perché, così si dice, Huston non riuscì mai ad averne uno a tiro...), ma un'altra bestia, quella nera che ci portiamo dentro: lasciatela avvicinarsi, ed il film s'impenna. Come? Con la dinamica: Eastwood, non ve lo insegno, è maestro nel restituire la forza cinetica alla superficie dello schermo. Che siano pugni o pallottole, come nei suoi film sull'ispettore Harry, o una cavalcata sfrenata e sensuale come quella che apre il film, o il celebre barchino d'AFRICAN QUEEN, condotto in perlustrazione fino ai limiti estremi delle rapidi, è una consistenza quasi fisica della realtà, una materialità praticamente palpabile quella che ci rimandano le immagini. Incontrando finalmente l'elefante, tutta questa fisicità diventa, poiché è il destino degli estremi, qualcosa d'improvvisamente spirituale: ed il film, assieme al racconto, precipita in una splendida spirale. Il piccolo gigante che era Huston, e l'animale, faccia a faccia; separati, per un istante formidabilmente dilatato, dall'occhio nel mirino. L'elefantino che scorrazza, quasi per gioco: e l'irrazionale che irrompe, provocando la morte dell'unico individuo con il quale sembrava passare la corrente, la guida indigena.

Posto di fronte allo specchio, svuotato dalle proprie pulsioni anche mortali, ora il protagonista può anche tornare - in una splendida sequenza conclusiva - coi piedi per terra. L'aspetta - quasi l'avevamo dimenticato - un film celebre da compiere. Lasciandosi cadere pesantemente sulla sua sedia da regista, libero e disfatto, Huston - Eastwood è allora ogni artista giunto alla soglia della creazione. Ha vissuto fino in fondo i propri traumi, le proprie contraddizioni. Ed è infine pronto a trascriverle: pronto a dare il primo ciak di AFRICAN QUEEN."


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