Confesso, non ho letto nessuno dei quattro libri pubblicati, sfogliato alcuna delle 116 milioni di copie stampate; né mi sono documentato sui restanti tre libri in preparazione, per non parlare degli altri due (o sono tre?) film già previsti quali seguito a questo HARRY POTTER cinematografico. Non contate su di me per pronunciarmi sul fenomeno: se non per constatare che, in epoca di teleidiozie ed internet, pare un fatto rallegrante che cosi tanti grandi e soprattutto piccini, siano giunti alla fine di cosi grossi volumi. Positivo, e pure sorprendente: che alla generazione dei miracoli tecnologici la storia del Cenerentolo dalla cicatrice in fronte scopertosi maghetto abbia riaperto i confini ad altre vie. Utili a raggiungere, sulle tracce della fiaba, quei territori fertili e sempre esaltanti della magia e del fantastico. E ricordato, che per sconfinare in quel soprannaturale che si nasconde attorno e dentro di noi esistono altre molle da cliccare che non siano soltanto quelle del mouse.Ma per tornare al cinema: se è vero che l'autrice di Harry Potter, Joanne Kathleen Rowling, abbia inventato il tutto per impiegare le quattro ore del tragitto ferroviario che separano Manchester da Londra, è pure scritto che, nel frattempo, il regista del futuro film stava girando MAMMA HO PERSO L'AEREO e MRS. DOUBTFIRE; per non parlare di imbarazzanti fallimenti commerciali ed ovviamente artistici come NINE MONTHS - IMPREVISTI D'AMORE, NEMICHE AMICHE o L'UOMO BICENTENARIO. Insomma, i miracoli riescono soltanto agli Harry Potter: e se la scrittrice e la sua creatura sono forse dei maghi, era da prevedere che Chris Columbus faticasse alquanto a diventarlo.
Non diciamo, adesso, come in quel vecchio, assurdo ed ormai noiosissimo litigio, che il cinema abbia tradito la letteratura. Anzi, si tranquillizzino i milioni di cui sopra: nel film ci sono tutte, quasi pedantemente, le peripezie affrontate dal piccolo eroe. Dai maltrattamenti subiti ad opera dei perversi zii Petunia e Vernon in tenera età, alle spericolate cavalcate sulle scope volanti per imporsi nella partite di Quidditch, alle dovute soddisfazioni raggiunte finalmente nell'immenso refettorio della scuola di stregoneria accanto agli inseparabili Ermione e Ron.
E pure l'identità culturale dell'opera, cosi strenuamente difesa dalla Rowling, non si può dire che non sia stata preservata. Gli attori (anche celebrati, come Maggie Smith, Richard Harris o Robbie Coltrane; oltre al piccolo protagonista Daniel Radcliffe) sono rigorosamente anglosassoni; il mondo del collegio appartiene di diritto a tutta quella tradizione letteraria e cinematografica da far risalire a Kipling; i rimandi magici, alle saghe di re Artù ed ai labirinti fantastici (certo, ben altrimenti deliranti) di Tolkien; gli ambienti, in genere, agli echi indelebili dell'universo di Dickens. E, anche se Spielberg si è desistito ed al geniale Terry Gilliam non si è osato affidare tanti milioni, Hollywood finisce per dimostrarsi non troppo invadente: i riferimenti alla corse delle bighe di BEN HUR o alle dinamiche degli INDIANA JONES sono fra le cose riuscite del film. E gli ormai inevitabili effetti speciali si integrano con misura ed efficacia nello stile, altrimenti vecchiotto del racconto.
Ma la magia cinematografica non sta tanto nella scelta degli ingredienti, bacchette magiche, specchi delle brame, pietre filosofali, unicorni e centauri; quanto nel modo di proporli e cucinarli. Senza che si scomodi un Tim Burton di IL MISTERO DI SLEEPY HOLLOW mai, al Chris Columbus di HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE riesce di trascrivere in equivalenti immagini, piuttosto che in diligenti elenchi, tutte quelle belle fantasticherie del nostro immaginario. E non soltanto per via di uno script che fa piuttosto acqua agli occhi di chi non sa già tutto, una visione accademica che fugge dal gotico peggio che fosse peste, una progressione non proprio drammatica ed un protagonista simpatico quanto imperturbabilmente moscio. Ma perché un prodotto del genere non può permettersi di azzardare e ancor meno disturbare; soprattutto, guadagnare.