I PROTAGONISTI è la storia di una rivincita: quella nei confronti di Hollywood di uno dei più grandi rinnovatori del cinema americano del dopoguerra, autore di alcuni capolavori degli anni Settanta e di enormi successi internazionali come MASH o NASHVILLE, ma relegato in secondo piano da quasi una decina d'anni.
Mancanza d'ispirazione da parte di un autore estremamente fecondo, ma curiosamente all'apice della propria fama soltanto dopo la cinquantina? C'è da dubitarne. Anche perché l'eclissi di Bob Altman è solo apparente: COME BACK, JIMMY DEAN e FOOL FOR LOVE rimangono film sottovalutati, mentre la serie televisiva TANNER 88 rappresenta uno degli specchi più straordinari proposti alla società degli anni Ottanta. Perché, allora? "Molto semplice, mi hanno cacciato: persone importanti, che poi sono state cacciate a loro volta. Così è Hollywood: nessuno può permettersi di lavorare in pace, un piccolo insuccesso fa immediatamente scordare il più grande dei successi."
Bastano esattamente otto minuti per rimettere le cose al loro posto: sono quelli del piano-sequenza iniziale I PROTAGONISTI. Otto memorabili minuti senza stacchi, proprio come nella mitica apertura di TOUCH OF EVIL di Orson WELLES, che gli auto ironici personaggi del film si premurano infatti immediatamente di citare: una cinepresa in continuo movimento - ad eccezione di due pause davanti alla finestra di un ufficio, nel quale si discutono le più inverosimili sceneggiature - che panoramica all'interno ed all'esterno di uno studio hollywoodiano, incollandosi ad impiegati o visitatori in transito, personaggi e visi celebri, passanti anonimi, cinefili fanatici che discutono fra di loro incrociandone altri di fasulli, tipici di una fauna occupata a crearsi un'importanza scomparsa all'indomani.
Il tono è dato, e la vendetta squisita alla Robert Altman può incominciare. La prima vittima è ovviamente lui, The Player, il produttore: uno che concede 25 parole, non una in più, al disgraziato che gli si para innanzi per raccontargli il proprio progetto. Ma anche uno che di sceneggiature ne vede 25mila all'anno: e può dire di si al massimo a sei o sette fra di loro... Carnefice, quindi: ma pure vittima di una meccanica più forte anche di chi si situa ai vertici. L'intelligenza, ma anche l'arte di Altman in THE PLAYER è stata quella di non voler demonizzare il Produttore, come è stato fatto da VIALE DEL TRAMONTO in poi.
Anche THE PLAYER si può raccontare in 25 parole. Produttore, minacciato di morte da un autore respinto, lo insegue, lo uccide, si mette con la sua donna, prima di accorgersi che a perseguitarlo era un altro: "Un film deve far ridere, avere suspense, sesso, violenza, speranza, sentimento e un po' di nudo. E, in particolare, un happy end. Volevo anch'io, e finalmente, un vero successo: ne è nato un racconto amorale, perché più il protagonista si perde, più gli affari e gli amori gli vanno bene. Vorrei che gli spettatori ci riflettessero: si può davvero chiamare lieto fine, quello in cui un assassino non viene né scoperto, né punito?"
Dovevano crederci in molti, alla filosofia-rivincita del grande Bob, vista la partecipazione (gratuita!) di quasi un centinaio di glorie hollywoodiane: Jack Lemmon e Anjelica Huston, Bruce Willis e Lily Tomlins, Cher e Nick Nolte, Susan Sarandon ed Elliot Gould, fino alla più desiderabile delle inavvicinabili, quella Julia Roberts che sarebbe costata come tutto il film. Interpretano sé stessi, anche solo per un istante: ma conferiscono al film quella dimensione in bilico fra sogno e realtà, che ne rappresenta uno degli aspetti determinanti.
Sulle file di un quasi-thriller dalla sceneggiatura meravigliosamente circolare, Altman riesce un film sui panni sporchi in casa, come ce ne hanno già mostrati: la violenza dietro la cornice dorata, la perversione nascosta dalla seduzione, il marcio sotto la fragranza degli agrumi nell'eterna stagione californiana. Ma nessuno, meglio di lui, è capace di muovere tanti attori allo stesso tempo, maestro della "coralità" cinematografica, sapiente nel farli ritornare sul luogo del misfatto con la puntualità di un mosaico che si ricompone alla perfezione davanti ai nostri occhi attoniti. Sfruttando tutti i segreti, dalla profondità di un'inquadratura che gli permette di abbracciare diversi momenti nello stesso istante, al propagarsi del suono che anticipa, ritarda quanto ci verrà confermato dall'immagine. Nessuno come lui sa ottenere da questi giochi di prestigio non un'ammirevole esercizio di stile: ma lo specchio di una società, con la sua abiezione più totale, che si muta in altrettanto totale derisione.
Miserie e dannazioni: relativizzandole nella cornice della giocosità fasulla di Hollywood il grande Bob non è alla ricerca del compromesso. Non viene a patti con la morale, né tanto meno con il cinema: come con il western (I COMPARI), il giallo (IL LUNGO ADDIO), la commedia (UN MATRIMONIO), il fumetto (POPEYE), la fantascienza (QUINTET) o l'intrigo psicologico (IMAGES), rifà qualcosa di già fatto. Ma come fosse nuovo.