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LA FORMA DELL'ACQUA
(THE SHAPE OF WATER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 febbraio 2018
 
di Guillermo Del Toro, con Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer (Stati Uniti, 2017)
 

OSCAR 2018 PER IL MIGLIOR FILM. Undici anni dopo Il labirinto del fauno, Guillermo del Toro ha firmato il suo secondo capolavoro. Confermandosi così fra i pochi cineasti capaci di muoversi in assoluta libertà fra la realtà e l’immaginario, le urgenze del nostro tempo e il surrealismo; e ricordandoci nel contempo quanto valga a Hollywood la presenza dell’invidiabile zoccolo duo messicano che completano Alejandro Gonzales Inarritu e Alfonso Cuaron.

La forma dell’acqua - The Shape of Water non è ciò che appare a prima vista, un altro dei più o meno divertiti film d’horror del suo autore. Con una strana creatura acquatica, proveniente dall’Amazzonia, conservata in una vasca, nel segreto minaccioso di un laboratorio militare. Nel quale però lavora Elisa (la bravissima Sally Hawkins dei film di Mike Leigh e Woody Allen), la donna delle pulizie, muta. Riservata, ma non particolarmente intristita; tanto da riservarci, assieme a Guillermo del Toro, sorprese infinite.

Siamo infatti nel 1962 della paranoica Guerra Fredda; cosi come nel Labirinto del fauno eravamo immersi nella Storia, poiché si trattava della Spagna franchista. E se il guardiano feroce (Michael Shannon) della gentile creatura marina ricorda certe crudeltà ancora in uso attualmente, se un’eventuale evasione (amorosa?) dei due prigionieri del meccanismo implacabile sembra a priori impensabile, sta tutto nell’arte cinematografica di chi lo costruisce renderlo ipotizzabile.

La favola prende allora il sopravvento sulla realtà, il sogno si sostituisce all’iconografia sempre più immiserita di quell’America impegolata nel Vietnam: sempre più referente a quella di un Trump. Mentre la splendida partitura musicale di Alexandre Desplat accompagna la spartizione magica di quell’horror apparente verso alcuni suoi modelli d’ispirazione, La bella e la bestia di Cocteau, Il mostro della laguna nera di Jack Arnold tanto cinema di serie B.

Progressivamente, il film si fa allora romantico, surrealista, in tutte quelle sue componenti liquide ricordate dal titolo; capace d’inventarsi su due gocce di pioggia che rigano il parabrezza, addirittura sensuale, erotico. Miracolosamente, riesce a fondere l’armonioso delirio del musical al thriller di spionaggio, la love story sentimentale a uno sguardo su tutti i diversi che abitano il film, neri, ebrei, messicani, omosessuali. A quel punto, dalla gloriosa sala cinematografica che sopravvive al piano sottostante di Elisa alla trascendentale iridescenza del suo splendido finale La forma dell’acqua avrà compiuto la sua mutazione nel meraviglioso.


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