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Un concentrato di tutto il piacere che il cinema può ancora offrire. In Un giorno di pioggia a New York Woody Allen ci offre molto di quanto la nostra epoca fatica sempre più a concederci. Una tenerezza in apparente noncuranza per i suoi personaggi, una visione poetica, talvolta esilarante, ma critica, forse melanconica degli ambienti nei quali questi esistono. Tutto questo grazie ad una scrittura di miracolosa leggerezza, ed egualmente accuratissima precisione nel trascrivere in immagini tutti quei deliziosi sentimenti.
Sono più di una cinquantina i film che Woody ci ha proposto: in un universo estetico fattosi sempre più magistrale di pensiero; a partire da quello irresistibilmente comico da cabaret che avevamo scoperto nel suo primo Prendi i soldi e scappa. Un po' alla leggera, a dire il vero. Come quando il festival di Locarno arrischiò di rifiutare la selezione di quell'opera prima considerandola si, a tratti divertente, ma troppo "inconsistente". Per poi accorgersi ben presto della velocità imperiosa con la quale cresceva l'autore di Io e Annie, Manhattan,Zelig, Broadway Danny Rose, La rosa purpurea del Cairo, Un'altra donna, Crimini e misfatti. Fino a Match Point, e ben oltre. Certo, senza ancora sapere che a ottantaquattro anni l'autore sarebbe stato ancora in grado di gestire da un capo all'altro la leggiadra ragnatela di A Rainy Day in New York.
Una ragnatela, semiseria, liquida e perfetta nella sua trasparenza. Forse perché, sulla New York che costituisce (come non prevederlo?) lo spazio rivelatore della magia che accomuna tanti personaggi cari all'autore, finisce per imperversare il diluvio. Non ci abbandonerà, fino alla conclusione di una faccenda avvincente nella sua banalità. Che vede una Elle Fanning meravigliosa, genialmente sopra le righe, sbarcare a Manhattan dalla sua università in Arizona, allo scopo d'intervistare il regista impegolato in una terribilmente alleniana crisi artistico-esistenziale. Ad accompagnarla, il quasi imberbe fidanzato Gatsby, un Timothée Chalamet pure lui impeccabile, oltre che così fitzgeraldianamente battezzato per dei motivi che che finiremo per conoscere. Gatsby in quella Grande Mela ci è nato, e da famiglia elitaria; ma il weekend cultural-romantico accuratamente programmato si svolgerà ben differentemente. Subito, e con facilità immensa, alla Woody dei suoi momenti migliori: orchestrato sulle inconfondibili cadenze del pianoforte di Erroll Garner, grazie all'incantata fotografia di Vittorio Storaro, alla speditezza ineguagliabile che viene a creare il montaggio dell'abituale Lisa Lepselter.
Ventiquattr'ore, più argute che paradossali, nella concreta evidenza di un ambiente: più che alla giovane coppia gioveranno all'autore per dare alla vita un sentimento che defluisce in uno stato di grazia, una spontaneità solare. Nell'ingenuità (ma non sarà consapevolezza?) dei protagonisti: che il divertito, sempre più disincantato scetticismo del cineasta avvolge nelle adorate incertezze dello snobismo metropolitano.
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* * * * A RAINY DAY IN NEW YORK, by Woody Allen, with Timothée Chalamet, Elle Fanning, Selena Gomez, Jude Law, Liev Schreiber (United States, 2019)
Review date: November 28, 2019
Available in DVD/Blu-ray or VOD/streaming etc.
A concentrate of all the pleasure that cinema can still offer. On A RAINY DAY IN NEW YORK Woody Allen offers us a lot of what our era is struggling to give us. A tenderness in apparent disregard for his characters, a poetic vision, sometimes exhilarating, but critical, perhaps melancholy of the environments in which they exist. All this thanks to a writing of miraculous lightness, and equally accurate precision in transcribing in images all those delicious feelings.
There are more than fifty films that Woody has proposed to us: in an aesthetic universe that has become more and more masterly in thought; starting with the irresistibly comic cabaret one we discovered in his first Take the Money and Run. A little lightly, actually. Like when the Locarno Film Festival ventured to reject the selection of that first work, considering it to be yes, at times funny, but too "flimsy". And then soon realized the imperious speed with which the author of Annie Hall, Manhattan, Zelig, Broadway Danny Rose, The Purple Rose of Cairo, Another Woman, Crimes and Misdemeanors. All the way to Match Point, and far beyond. Of course, without yet knowing that at eighty-four years of age the author would still be able to handle the graceful web of A Rainy Day in New York from end to end.
A spider's web, semi-serious, liquid and perfect in its transparency. Perhaps because, on the New York that constitutes (how can we not foresee it?) the revealing space of the magic that unites so many characters dear to the author, the deluge ends up raging. It won't abandon us, until the conclusion of a gripping affair in its banality. That sees a wonderful Elle Fanning, ingeniously over the top, landing in Manhattan from her university in Arizona, with the aim of interviewing the director involved in a terribly Athenian artistic-existential crisis. Accompanying her is the almost unhinged boyfriend Gatsby, an impeccable Timothée Chalamet who is also so fitzgeraldianly baptized for reasons we'll end up knowing. Gatsby in that Big Apple was born there, and from an elitist family; but the carefully planned cultural-romantic weekend will take place quite differently. Immediately, and with immense ease, to the Woody of his best moments: orchestrated on the unmistakable cadences of Erroll Garner's piano, thanks to the enchanted photography of Vittorio Storaro, the unparalleled speed that comes to create the editing of the usual Lisa Lepselter.
Twenty-four hours, more witty than paradoxical, in the concrete evidence of an environment: more than the young couple will benefit the author to give life a feeling that flows into a state of grace, a solar spontaneity. In the naivety (but won't it be awareness?) of the protagonists: that the amused, increasingly disenchanted skepticism of the filmmaker wraps in the adored uncertainties of metropolitan snobbery.
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