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The Irishman è un film lungo che trascorre in un attimo. Perché permette a due privilegiati notoriamente provvisti di genio, di riandare in tre ore e mezza a rivedere la loro vita. Ne è risultata una miscela particolare, forse irripetibile, di una formula ormai chiacchierata. Giunti infatti al loro nono film assieme, Robert De Niro e Martin Scorsese hanno finalmente concretizzato un sogno datato 2007: illustrare le memorie, tratte dal libro dell’avvocato Charles Brandt che lo interrogò per cinque anni, di Frank Sheeran. Irlandese, uno dei due unici non italiani fra i venticinque personaggi di spicco della criminalità organizzata americana di quell’epocai, reduce dalla Seconda Guerra mondiale, dapprima camionista, in apparenza opaco, all’occasione killer per la Mafia.
E’ la lunga esistenza di un Robert De Niro taciturno. Che abbandona il suo celebre sorriso di traverso per diventare l'uomo di fiducia, il confidente in pigiama nelle suite cinque stelle, ed infine il traditore di Jimmy Hoffa, presidente del sindacato dei camionisti, signore della mafia come pure della lotta operaia. Sono tre decenni della Storia americana che non esitano a sfiorare i drammi maggiori: come la scomparsa del presidente JFK e del fratello Robert Kennedy, oltre ad emettere l’ipotesi più certa sul mistero rimasto inevaso della scomparsa di Hoffa.
Film costruito sul trascorrere del tempo, The Irishman è egualmente una rivisitazione di un cinema destinato a scomparire: firmato Martin Scorsese, che di quelle faccende aveva iniziato ad occuparsi nel 1973 di Mean Streets, ma senza poi filmare mafiosi fino a Goodfellas (Quei bravi ragazzi) del 1990 ed infine Casino’ nel 1995. L’autore di quei due capolavori non poteva sognare occasione migliore intravvedendo gli ottant'anni: cresciuto nella famiglia cattolica, condividendo, con il protagonista di The Irishman, l’impossibilità della redenzione dopo aver vissuto la colpevolezza.
Lontano in definitiva dall’idea del remake, melanconicamente allusivo, di una emozionante sobrietà che evita accuratamente ogni accentuazione espressiva anche nei rari episodi di violenza fisica, non a caso il film è stato rinviato al mittente da tutte le case di produzione americane, fino all’arrivo di Netflix. Rifiutando le loro offerte di girare con delle star contemporanee alla Pitt, Phoenix o DiCaprio (che avrebbero paradossalmente ridimensionato i duecentomila dollari del film), l’insistenza di Scorsese ha avuto la meglio. Uno straordinario, trattenuto Joe Pesci nei panni del caid Bufalino che rappresenterà il garante del filo conduttore Sheeran, Harvey Keitel e, soprattutto per la prima volta con il regista, un memorabile Al Pacino sopra le righe nelle vesti di Hoffa, indirizzano il film in un’ulteriore dimensione. Si discute infatti sull’inedito procedimento digitale “d-aging” che avrebbe permesso gli sbalzi trentennali sulle rughe dei protagonisti: ma, nella sua evidenza, anche questo finisce non solo per stemperarsi nell’ottica dello spettatore. Ma per accentuarne il potere d’identificazione.
Ad imitazione della parlata dei mafiosi, che accuratamente evita di chiamare le cose con il proprio nome, il film evidenzia egualmente l’intimità privata dei personaggi. Senza evitare lo scoglio di quella pubblica, dal dramma dei Kennedy al clamoroso incidente della Baia dei Porci. Film sul tradimento, The Irishman lo è egualmente sull’impossibilità dell’amicizia, quando la violenza ha travalicato ogni argine. Sulla vecchiaia, quando Sheeran realizza che la figlia che continua a respingerlo (Anna Paquin) rappresenta la sola fonte di lucidità in quella lunga vicenda.
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The Irishman is a long movie that goes by in a flash. Because it allows two privileged people, notoriously gifted with genius, to go back to their lives in three and a half hours. The result was a special, perhaps unrepeatable mixture of a formula that has now been talked about. Now in their ninth film together, Robert De Niro and Martin Scorsese have finally made a dream come true in 2007: to illustrate the memories, taken from the book by the lawyer Charles Brandt who interrogated him for five years, by Frank Sheeran. Irish, one of the only two non-Italians among the twenty-five prominent figures of American organized crime of that time, fresh from the Second World War, at first a truck driver, apparently opaque, at the killer occasion for the Mafia.
It's the long existence of a taciturn Robert De Niro. Who abandons his famous sideways smile to become the man he trusts, the confidant in pajamas in the five-star suites, and finally the traitor of Jimmy Hoffa, president of the truckers' union, lord of the mafia as well as of the workers' struggle. It's three decades of American history that have not hesitated to touch on major dramas: such as the disappearance of President JFK and his brother Robert Kennedy, as well as the most certain hypothesis about the mystery left unanswered by the disappearance of Hoffa.
A film built on the passage of time, The Irishman is also a revisitation of a cinema destined to disappear: signed by Martin Scorsese, who had started to deal with those matters in 1973 with Mean Streets, but without filming mobsters until Goodfellas in 1990 and finally Casino' in 1995. The author of those two masterpieces couldn't have dreamt of a better opportunity when he was eighty years old: he grew up in the Catholic family, sharing with the protagonist of The Irishman the impossibility of redemption after experiencing guilt.
Ultimately far from the idea of the melancholy allusive remake, of an exciting sobriety that carefully avoids any expressive accentuation even in the rare episodes of physical violence, it is no coincidence that the film was returned to sender by all American production companies, until the arrival of Netflix. Rejecting their offers to shoot with contemporary stars at Pitt, Phoenix or DiCaprio (which would have paradoxically reduced the film's $200,000), Scorsese's insistence got the better of them. An extraordinary, restrained Joe Pesci as the caid Bufalino who will represent the Sheeran thread, Harvey Keitel and, especially for the first time with the director, a memorable Al Pacino over the top in the guise of Hoffa, direct the film into another dimension. In fact, there is a debate on the unprecedented digital "d-aging" process that would have allowed the 30-year-old wrinkles of the protagonists to be overturned: but, in its evidence, even this one ends up not only dissolving in the viewer's perspective. But to accentuate its power of identification.
In imitation of the talk of the mobsters, who carefully avoid calling things by their names, the film also highlights the private intimacy of the characters. Without avoiding the cliff of the public one, from the Kennedy drama to the clamorous incident at the Bay of Pigs. A film about betrayal, The Irishman is also about the impossibility of friendship, when violence has crossed every bank. About old age, when Sheeran realizes that his daughter who continues to reject him (Anna Paquin) is the only source of lucidity in that long story.
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