Comincia come un AMERICAN GIGOLO, WORKING GIRL o un WALL STREET: colletto a righe e decappottabile, personal computer e discoteca, letto a stereo e la modella, loft con vista e grattacielo.Poi, come Dio vuole e se comanda, si da una mossa anche lo yuppie: novello Faust, in una L.A. come ancora non ce l'avevano mostrata (ed è tutto dire), cede l'anima, proprio quando si comincia a pensare al il corpo, a Rob Lowe - occhi trasparenti e ambiguità da vendere. Per finire, o perlomeno quasi, dalle parti de IL SERVO di Joe Losey.
Questo Hanson (LA FINESTRA DELLA CAMERA DA LETTO) mescola insomma tanto l'inutile quanto il dilettevole: ma ci sa fare. Il suo stile patinato e leccatino (moquette blu e luminarie, disco-hard e video-sesso, business is business ed uffici design) sembra uscito da quelle riviste che costano come un'enciclopedia: e non aiuta la vicenda ad uscire dal yuppismo alla moda.
Ma quel suo modo di scivolare sugli oggetti, di frugare nelle ombre, di giocare nei riflessi serve, eccome, per pescare nel torbido: così, sul tema del servo e del padrone, del carnefice e della vittima, o del doppio inquietante che si nasconde dentro di noi, ecco che BAD INFLUENCE prende il largo. Verso i lidi dell'ambiguo e del mistero: o, se preferite e per non andar nel complicato, verso quelli di un giallo non così poi prevedibile, che v'inchioda alla poltrona.