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L'OCCHIO PRIVATO
(THE LATE SHOW)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 maggio 1978
 
di Robert Benton, con Art Carney, Lily Tomlin, Eugene Roche, Joanna Cassidy (PUBBLICATO ALL'ORIGINE SU AZIONE DELL'11 MAGGIO 1978) (Stati Uniti, 1977)
 

(PUBBLICATO ALL'ORIGINE SU AZIONE DELL' 11 MAGGIO 1978)




Oltre che il genio della regia, Robert Altman sembra possedere quello di scopritore di talenti. Dopo WELCOME TO L.A., il nipotino di NASHVILLE diretto da Alan Rudolph, ecco che Altman produttore ci cava dal cilindro Robert Benton. Anche se la pubblicità, sempre fiduciosa sull'intelligenza dello spettatore, parla di un film di Robert Altman...


L'OCCHIO PRIVATO (THE LATE SHOW) è uno di quei film che fanno piacere ai vecchi fanatici delle sale oscure. Quei film americani che una volta si chiamavano di serie B, senza grandi attori di mercato, senza il lustro di quella finizione hollywoodiana al cromo che contraddistingue il genere di lusso. Ma con una vita interiore, un fremito a livello viscerale, una patina di cose vissute che fa bene al cuore di coloro che al cinema ci sono arrivati senza passare attraverso le pagine di «Novella 2000». THE LATE SHOW è un poliziesco, ovviamente con lo zampino di Altman, che i suoi pupilli se li sceglie accuratamente; e lo si capisce subito, appena ci troviamo innanzi l'investigatore protagonista. Straordinario: vecchio, zoppo, vestito dì blu sdrucito come un becchino di periferia, con l'ulcera e un mondo di illusioni perdute. E' il tipico eroe altmaniano, e cioè l'antieroe.


Anche attraverso le opere dei suoi allievi, l'autore di THE LONG GOODBYE ci mostra l'altra faccia della verità. Guardate, ci dice, che anche gli eroi dei libri gialli erano dei poveracci come voi e me, con i malanni ed i problemi quotidiani. E tutto quel mondo, quella mitologia, quei valori che il cinema vi ha trasmesso su quelle persone e su quelle situazioni era fasullo. Così come erano fasulle altre leggi, altri valori, magari più importanti di quelli cinematografici, che la società degli anni passati ci ha tramandato.


Robert Benton ci sa fare: oltre all'investigatore zoppo ma dalla carica umana densissima, ci offre la donna dell'investigatore fuori dagli schemi tradizionali. Personaggi, come quello del maestro, che si spogliano di tutta quella crosta di imposture che gli schemi e le formule del mestiere hanno addossato ai personaggi in tanti anni di racconti di cinema: per assumere, finalmente, sembianze umane. Gli attori, tutti, sono formidabili. Come in Altman, poi, la tecnica è vitale e fertile, tutta impostata sulla colonna sonora, sui suoni e sulle parole che precedono l'immagine, e conferiscono una dimensione inedita e più vasta all'azione. A Benton non manca nemmeno l'humour (il cadavere nel frigorifero), il senso della tensione emotiva donata da un montaggio che conferisce all'opera, specie nella sua prima parte, un ritmo instancabile. Un film giovane, che certo non possiede la densità dei rinvii di significato dei capolavori; ma che vi sbatte addosso gli umori di un mondo, quello dei gialli, con un'efficacia invidiabile. Semplicemente quella che l'ispirazione, ed il talento più genuino sanno donare.


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