Perché meravigliarsi se in questi tempi di crisi, soluzioni sbrigative e movimenti populisti torni di moda quella vecchia gloria di Frank Capra?Dire infatti che l'aria di MISTER SMITH VA A WASHINGTON , girato dal grande mito del cinema americano nel 1939, aleggi su questa storiella è dire poco: qui il Presidente muore (nelle tragico-piccanti circostanze alla Felix Faure...), ed al suo posto il cattivo- segretario di stato di circostanza (ottimo Frank Langella, alias Dracula) installa un sosia, nella speranza di manipolarlo ai suoi fini. Ma il brav'uomo - ci mancherebbe - sembra più onesto, per non dire dotato, della versione originale. Ergo: un paio di persone di buona volontà e discreto buonsenso farebbero meglio di tanti politicanti in circolazione. Si sa come vanno queste cose, nel cinema americano: dette e fatte altrove, suonerebbero come quelle monete d'oro con dentro la cioccolata. Traslate in chiave di sogno (e professionalità...) hollywoodiana le stesse acquistano un sapore del tutto diverso: volete mettere Jimmy Stewart con Bossi?
C'è una pulizia, nello sguardo cinematografico di DAVE, che lo rende, se non credibile, perlomeno gradevole: il gioco perfetto di un meccanismo rodato dal tempo (la sceneggiatura), la grazia di una gestualità, di una mimica (quella di Kevin Kline, della first lady interpretata con intelligenza da Sigourney Weaver, di tutti personaggi che li circondano) che appartiene a dei codici che fanno ormai parte della nostra cultura, di uno spazio contenitore (la Casa Bianca, accuratamente ricostruita in studio) all'interno del quale quello sguardo riesce a raggiungere un equilibrio perfetto tra sogno e realtà. Il sogno che lo spettatore sa essere tale; la realtà (rappresentata da molti riferimenti attuali, personaggi della CNN, commentatori politici, giornalisti e columnist, e persino uomini politici autentici) che viene costantemente rimessa in questione dal confronto.
Se quello di DAVE è un gioco gradevole, ed ahimè un po' scontato, quello di Capra sapeva al contrario essere duro e crudele. Un sogno, quello dell'utopista del New Deal, che arrischiava ad ogni istante di scivolare nell'incubo. Capra era si idealista, demagogico; ma cosciente di esserlo. Capolavori come MEET JOHN DOE e IT'S A WONDERFUL LIFE nascevano proprio nell'amarezza di un creatore perfettamente consapevole: è solo grazie ad un miracolo finale (fasullo e denunciato, come ogni convenzione cinematografica) che il presunto ottimismo alla Capra riusciva ad avere la meglio sull'universalità del male.
I confronti fra Ivan Reitman ed il mitico Frank terminano prima ancora di iniziare.