Sembra di ritrovarlo, il grande Bob e quel suo cinema innovativo e critico nelle prima parte del suo ultimo IL DOTTOR T. E LE DONNE. Il film con Richard Gere ginecologo, attorniato da decine di personaggi tutti al femminile, che il regista definisce "una lettera d'amore alla donne di Dallas": ma che a me sembra piuttosto l'espressione dell'eterno disagio maschile nei confronti della psiche femminile. Il bel Richard di successo (qui, malgrado i difetti del film, nettamente al disopra delle sviolinate abituali) al quale va però tutto di traverso: adora sua moglie, ma Farrah Fawcett regredisce all'infanzia, vittima di un complesso che affligge le donne troppo soddisfatte, facendole fuggire dall'amore e dal benessere; la figlia minore si fa espellere dalla squadra delle majorettes, e della maggiore viene sapere alla vigilia delle nozze che se l'intende con la damigella d'onore; sconsideratamente si butta in una relazione con la volitiva maestra di golf, ma questa privilegia ben presto evasioni più giovanilistiche. Soprattutto, è braccato da una muta isterica di texane ingioiellate, che una squadra di infermiere fin troppo premurose fatica a contenere. Assedio che da fisico si fa mentale, e che il regista illustra con la sua abituale generosità formale. Le leggendarie "doppie piste" sonore moltiplicano l'impatto espressivo di quella cavalcata di valchirie, la fotografia laccata come l'universo che rappresenta significa l'ambiente a dovere, gli attori beneficiano al massimo dell'entusiasmo giubilatorio generale. Pimpante all'inizio come un velenoso Almodovar, Dr. T. AND THE WOMEN cala purtroppo di giri ben prima di un finale alla Fellini: di quelli con cataclisma, che risolve i problemi di sceneggiatori in difficoltà. Come fosse incerto tra ferocia e condiscendenza; tra il fastidio per il cicaleccio di quell'universo fatuo ed una sorta di attrazione. Se non proprio nei confronti dei suoi agi, perlomeno del buonismo anestetizzante che è alla base del genere di commedia cine-televisiva che IL DOTTOR T. vorrebbe fustigare. Da lucidi che erano, i grandi strumenti linguistici a disposizione del regista si trasformano allora in vezzi quasi fastidiosi: e se i piani - sequenza diventano virtuosismi che non graffiano, allo spettatore non rimane che trastullarsi sulle ragioni del clamoroso raddoppio di stazza subito dal flessuoso fascino di Liv Tyler.