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IL FILO NASCOSTO
(PHANTOM THREAD)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 27 febbraio 2018
 
di Paul Thomas Anderson, con Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps, Lesley Manville, Sue Clark, Joan Brown . (FOR ENGLISH VERSION SEE BELOW) (Stati Uniti, 2017)
 

Due film, due apici nella carriera dei rispettivi registi,  La forma dell’acqua e Il filo nascosto sono ambedue esaltanti e sorprendenti per i rispettivi contenuti: ma diversi, addirittura opposti uno all’altro nella loro forma. Il primo, di Guillermo Del Toro, è eclatante, liberato. Questo, di Paul Thomas Anderson, incredibilmente ripiegato su sé stesso, intimista e contraddittorio. Ma in definitiva altrettanto possibilista.

Il filo nascosto è un film segreto, mutevole, talora indecifrabile; uno dei temi affrontati essendo un rapporto di forze. Fra tre personaggi, tre attori: uno straordinario Daniel Day-Lewis, prepotente e al tempo stesso vulnerabile; quindi la dolce, ma perlomeno volitiva rivelazione lussenburghese Vicky Krieps; e Lesley Manville, la vera padrona della Maison. Di nuovo qualcuno che giunge dall’universo di Mike Leigh. Tre indimenticabili presenze, che si costruiranno (o, se preferite, distruggeranno) sulla loro diversità e i diversi modi di risolverla. Prima di raggiungere, sul finire, un loro enigmatico, seppure ambiguo (come tutto il film), punto d’incontro.

Eppure, la faccenda è elementare: il celebre stilista degli anni Cinquanta londinesi, Reynolds Woodcock veste la famiglia reale, l’alta società, le star del cinema e le debuttanti agiate. Scapolo impenitente mordi e fuggi, incontra Alma, l’apparentemente innocua acqua e sapone, la cameriera di una piccola pensione sulla Costa dove il maestro è andato a rifiatare. Finirà per sposarla, tanto vale che ve lo dica, poiché il punto non è quello, in un film nel quale succede tutto, e niente.

Il filo nascosto cui si riferisce il titolo, non è infatti soltanto quel messaggio su carta che il sarto si premura di cucire all’interno di ogni sua creazione. E nemmeno quello incessantemente percorso, fra gli aghi e le dita, dalle impeccabili operaie sui sontuosi (ma quanto glaciali!) capolavori d’altissima moda. Poiché evidentemente non si tratta di un film sulla moda: semmai sul cammino che conduce Phantom Thread verso zone ben più perverse. Il medesimo delle destabilizzanti, mitiche vibrazioni hitchcockiane di Rebecca, la prima moglie.

Quest’arte della contraddizione, questa evasione continua dalla banalità della solitudine dell’artista, la fuga dal classicismo romantico della rappresentazione verso le praterie del narcisismo e della dipendenza, non avvengono mai a caso. Ma soltanto grazie al magistrale equilibrio di una scrittura infinitamente posseduta che conduce all'invenzione incessante, alla rappresentazione incantata della dismisura.

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Two films, two high points in the careers of their respective directors, The Shape of Water and The Hidden Thread are both exhilarating and surprising in terms of their respective contents: but different, even opposing each other in their form. The first, by Guillermo Del Toro, is striking, liberating. This one, by Paul Thomas Anderson, is incredibly inward-looking, intimate and contradictory. But in the end it is just as much of a possibility.

The hidden thread is a secret, changeable, sometimes indecipherable film; one of the themes addressed is a relationship of forces. Between three characters, three actors: an extraordinary Daniel Day-Lewis, overbearing and at the same time vulnerable; then the sweet, but at least strong-willed Luxembourger revelation Vicky Krieps; and Lesley Manville, the true mistress of the Maison. Again someone from Mike Leigh's universe. Three unforgettable presences, which will build (or, if you prefer, destroy) on their diversity and different ways of resolving it. Before reaching, at the end, their enigmatic, if ambiguous (like the whole film), meeting point.

And yet, the matter is elementary: the famous fashion designer of 1950s London, Reynolds Woodcock dresses the royal family, high society, film stars and wealthy debutantes. An unrepentant bachelor, he meets Alma, the seemingly harmless soap and water maid of a small boarding house on the Coast where the master has gone to rest. He ends up marrying her, I might as well tell you, because that's not the point in a film in which everything and nothing happens.

The hidden thread to which the title refers is not just the message on paper that the tailor takes care to sew into each of his creations. Nor is it the thread that the impeccable seamstresses are constantly running through, between needles and fingers, on the sumptuous (but how glacial!) masterpieces of the highest fashion. Because obviously this is not a film about fashion: if anything, it is about the path that leads Phantom Thread towards much more perverse areas. The same as the destabilising, mythical Hitchcockian vibrations of Rebecca, The First Wife.

This art of contradiction, this continuous evasion from the banality of the artist's solitude, the flight from the romantic classicism of representation towards the prairies of narcissism and addiction, never happens by chance. But only thanks to the masterly balance of an infinitely possessed writing that leads to incessant invention, to the enchanted representation of excess.

 


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