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UNA PURA FORMALITÀ Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 maggio 1994
 
di Giuseppe Tornatore, con Gérard Dépardieu, Roman Polanski, Sergio Rubini (Italia, 1994)
 
Una sparo nel buio, dopo una lunga corsa espressionista nella foresta e nella pioggia, ansimata e musicata da Morricone: assieme all'omone (colpevole?; braccato?), ci ritroviamo in un posto di polizia, isolato nella notte, sbracato da far acqua da tutte le parti. Depardieu è l'omone, e Polansky (minuscolo, enigmatico, ma pure sobrio, come un uccello pronto a beccare) è l'ispettore. Il gioco a rimpiattino, abile, spettacolare nella sua tensione trattenuta, il gatto ed il topo; un po' come quello piacevolissimo di Serreau e Ventura nel GARDE A VOUS di Claude Miller, che durava fino al termine del film.

Non succede la stessa cosa, in UNA PURA FORMALITÀ: sembra un giallo, il nuovo film di Tornatore, ed uno si dice, ha fatto bene a cambiare, dopo il successo forse fin troppo fortunato di NUOVO CINEMA PARADISO. Ed il tonfo, quasi ineluttabilmente programmato di STANNO TUTTI BENE. Ma l'autore ha altre ambizioni: i dettagli non quadrano, il presunto innocente-colpevole ha veramente l'aria di cadere dalle nuvole, l'ispettore pare ben fuori dal tempo, il brigadiere batte a macchina su un foglio che rimane sempre bianco. E nell'armadio che si spalanca ogni tanto c'è una trappola che rivedremo poco più in là: senza più il formaggio. Ma senza nemmeno la preda, che pure avevamo sentito squittire poc'anzi.

Gli è che stiamo partendo per altri lidi, ben più ambiziosi e, ahimè, perigliosi: quelli di Kieslowski, di qualche Scorsese, di Angelopoulos o di Wenders. La metafisica...

UNA PURA FORMALITÀ, lo sapremo soltanto alla fine, e non dirò tutto per coloro che vorranno godersi il pur piacevole faccia a faccia tra di due, è una metafora, l'apologo labirintico che se uno fatica a vederci chiaro ti dicono che è perché deve restare oscuro. Una resa dei conti esistenziale...

Tornatore è abile ed in certe cose sensibile: ad un certo punto - per obbligarlo a ricordare - l'ispettore gli rovescia sotto gli occhi un sacco pieno di fotografie, requisite a domicilio del sospetto. E la camera scorre su quella moltitudine di visi, su quel mosaico di situazioni ingiallite. E l'autore ritrova - per incanto - un'emozione, una reazione dell'immagine quando questa è semplice, non eccessivamente mediata.

Ma poi, quasi subito, ritorniamo nel labirinto: fatto di spezzoni di flash- back espressionisti, come in un film mal invecchiato degli anni trenta. Di laboriosi rinvii letterari (Pinter, Pirandello, ovviamente Kafka...), di pesanti allusioni espressive (l'acqua che sgocciola per tutta la durata, grazie Tarkovsky), di sottintesi simbolici stiracchiati. Il maniacale Polanski continua ad essere la sola cosa intrigante del film; Depardieu fa il suo dovere di pancione catturato dal suo sorriso infantile. E lo spettatore cerca di raccapezzarsi: quando più o meno ci riesce, non gli rimane che dirsi di aver mangiato ormai da un pezzo la sua foglia.


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