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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 marzo 1973
 
di Marco Bellocchio, con Gian Maria Volonté; Laura Betti; Fabio Garriba; Carla Tatò; Marco Bellocchio (Italia, 1972)
 
SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA rappresenta una svolta importante nella carriera di Bellocchio: il passaggio, dopo la trilogia conclusasi con NEL NOME DEL PADRE, dai temi autobiografici, ripiegati su se stessi, mediativi, ed allo stesso tempo barocchi e splendidamente espressionistici, ad un cinema più vicino alla realtà quotidiana, più aperto sul futuro. Se da uno stile che ricordava la forza corrosiva di un Bunuel o del migliore Fellini, Bellocchio ci propone ora delle atmosfere che ricordano certi film politici di Petri o di Costa-Gravas, il fondo del suo discorso è rimasto però lo stesso. Il mutamento è solo apparente. Già prima, anche se in mondo meno esplicito, anche se trasmesso tra le pieghe del sarcasmo, o dell'allegoria, il cinema del giovane regista italiano tendeva a scavare nelle radici della società borghese, alla ricerca delle ragioni del malessere, della corruzione. E, in NEL NOME DEL PADRE dipingeva una umanità allucinante di individui del domani, un collegio, in un mondo segnato dalla mancanza di una guida, di una speranza, di un modello che non fosse quello dell'ipocrisia e dell'oscurantismo.

Su un altro tono, con una accusa esplicita, “giornalistica” ad un malcostume professionale, che trascende i significati episodici per sconfinare in quelle morali, privo di onestà, che denuncia, la stessa ottusa, disonesta ignoranza che così esemplarmente è tradotta nella sequenza, tra le più belle del film, della scena fra Volontè e la moglie accanto al televisore.

Pur nei limiti di un discorso politico che appare a tratti un poco approssimativo ed incerto (si pensi alla facilità del personaggio interpretato da Garriba, ed anche allo sfuocato studente di sinistra, la vittima innocente) questa prima pellicola di Bellocchio sulla strada dell'attualità, anche se da un lato fa rimpiangere certe atmosfere straordinariamente espressive dei suoi film passati (o meglio, fa rimpiangere l'assenza di un maggiore amalgama fra quelle atmosfere e queste), dall'altro conferma l'intelligenza e la sensibilità dell'autore. Grazie anche all'aiuto di G.M. Volontè, che di pellicola in pellicola si conferma una delle personalità più importanti fra gli attori del dopoguerra. Esempio stupefacente di concentrazione e, certo, uno dei pochi attori del cinema contemporaneo che non sia una pura e semplice pedina fra le mani del regista.


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