Versione corta del lungometraggio NON UCCIERE. Un giovane erra per Varsavia. Un tassì lo conduce in periferia, dove uccide l'autista. Jacek è condannato all'impiccagione.
Pigro, solitario, poco espansivo, Jacek è un giovane contadino che vive ai margini di un quotidiano non certamente esaltante, quello della Varsavia degli anni ottanta. Le sue deambulazini per le vie cittadine lo conducono ad incrociare, in modo del tutto casuale, due altri itinerari. Quello di uno studente in legge che ha appena ottenuto il proprio diploma d'avvocato. E quello di un tassista, del quale Jacek osserva il comportamento volgare. Il giovane sale sul taxi, si fa condurre nella periferia deserta e, selvaggiamente, assassina l'autista. Poi, tranquillamente, ritorna in città facendo uso dell'auto della vittima.
Fine del processo: Jacek è condannato a morte. Il giovane avvocato, per il quale la difesa del giovane ha costituito la prima causa, raccoglie le confessioni di Jacek: legato da profondo affetto per la sorella, egli è stato costretto ad abbondonare il villaggio ed a partire per Varsavia dopo la morte accidentale della ragazza, della quale gli fu addossata la responsabilità.
Impotente ed angosciato, l'avvocato assiste all'esecuzione di Jacek.
NON UCCIDERE è un esempio straordinario di scrittura cinematografica messa al servizio di un'idea. La lucida, implacabile analisi degli avvenimenti del film può essere suddivisa in tre parti. Nella prima assistiamo al semplice, praticamente casuale incrocio delle traiettorie dei protagonisti del dramma: senza una apparente volontà narrativa, ma con il "solo" desiderio di volgere uno sguardo, praticamente documentaristico, sulla realtà nella quale sono immersi i personaggi.
Nella seconda, entra in scena la finzione: ed assistiamo alla prima delle esecuzioni. Quella barbara, selvaggia, individuale ed apparentemente irrazionale di un uomo nei confronti di un altro uomo.
Nella terza parte - filmata con un senso dell'"ellisse", del riassunto conciso della progressione drammatica, che dona al racconto una tremenda efficacia, assistiamo all'altra esecuzione sommaria: quella sociale, legalizzata, "pulita" e meditata - ma proprio per questo altrettanto barbara ed insostenibile - della Giustizia nei confronti del Colpevole (in Polonia vige tutt'ora la pena di morte).
Per chi conosce anche sommariamente l'opera di questo regista polacco - uno dei più fertili e significativi di tutto il cinema contemporaneo - questa suddivisione non rappresenta soltanto una chiave di lettura di un film scritto con impareggiabile rigore espressivo e morale. Ma riflette anche alcuni aspetti della personalità del cineasta, chiaramente riscontrabili nella sua opera: da splendidi lungometraggi come AMATOR (1979), IL CASO (1982) o SENZA FINE (1984), alla sua recente serie di mediometraggi del DECALOGO ispirato ai Dieci Commandamenti, che diverse reti televisive hanno presentato alcuni mesi or sono.
Per Kielsowski infatti non è tanto l'uomo che - per quanto sforzi egli faccia - determina il proprio destino: ma il Caso. Dal concatenarsi degli avvenimenti (ma, naturalmente, gli avvenimenti non avvengono... a caso, ma sono dettati dalle condizioni esistenziali, sociali, politiche, religiose, psicologiche!) nasce quella ragnatela inesorabile che determina ciò che per comodità è stato definito Destino. E, per altrettanta ma più ambigua finalità, nozione di Bene o di Male.
Per il regista polacco, egualmente, questa tragedia del quotidiano, che egli osserva con un senso straordinario del realismo, non è mai un'arida disanima pseudoscientifica: ma lo conduce a delle conclusioni (morali, religiose, mistiche?) che non tutti condivideranno. Ma che costituiscono una delle ragioni di maggior fascino della sua opera. Dall'osservazione terribilmente attenta della realtà (e quindi dalla denuncia civica, morale, politica di una società nella quale vive l'individuo) all'itinerario progressivamente sempre più irrazionale verso una dimensione spirituale (alla quale l'uomo è condotto dall'ineluttabilità di un comportamento imposto dal Caso): grazie alla lucidità della propria scrittura, grazie a quell'arte di legare il destino dell'Uomo a quello di ciò che gli sta attorno Kieslowski riesce a farci condividere il sogno di ogni artista: parlarci, con le povere immagini di ogni giorno, delle preoccupazioni più alte che ci accompagnano da sempre.