Figlia di un banchiere zurighese, Fabienne Babe viene sequestrata da un bulletto genovese, nel corso di una rapina fallita ad una banca. Segue il tradizionale rovesciamento di forze tra vittima e carnefice, fin che finisce che è lei a legare lui al letto. Più che il thriller, interessava a Koerfer (probabilmente) il rapporto psicologico tra i due (anche se il regista dichiara di aver voglia di un cinema svizzero più dinamico, più spettacolare, dichiarazione più che ambigua, visto i risultati). Tutto giusto, ma il film dimostra almeno una cosa: che questo genere di faccende non fanno parte di certo delle cup of tea dell'autore. L'inizio, realistico, la rapina, la presa d'ostaggio, il nascondiglio nel centro di Zurigo è quasi da brivido. Ma involontario: zeppo d'imprecisioni, filmato come qualcosa che al quale dobbiamo credere, ma in effetti totalmente improbabile. Gli avvenimenti sono assurdi (urla e botti in uno stabile del centro di Zurigo, con la discrezione elvetica), i personaggi abbozzati frettolosamente. Ma soprattutto la costruzione: si passa dall'odio della vittima, ad un improvviso amore-desiderio, in un appartamento più lussuoso, quasi mancasse addirittura una bobina...
Poi, la fuga verso il sud, la Tresa a Fornasette, l'Italia del balordo e della bionda: qui il tutto è sempre prevedibile, ma almeno meno irritante. I protagonisti sono diretti bene, le scene d'amore sufficientemente sexy. E qualche inquadratura (le montagne, sul Gottardo, che si riflettono su Babe) ci ricorda che Koerfer è stato un regista intelligente ed ispirato. Prima di prendersi per Arthur Penn.