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di Jim Jarmusch, conTom Waits, John Lurie, Roberto Benigni, Ellen Barkin, Nicoletta Braschi
(Stati Uniti, 1986)
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In un paio d'anni Jim Jarmusch e passato dalla condizione di avanguardista dalle belle speranze (Stranger Than Paradise alla Quinzaine di Cannes e poi a Locarno) a quella di star consacrata fra gli autori internazionali: il suo film era infatti fra i più attesi quest'anno sulla Croisette. Che questa metamorfosi si sia compiuta perfettamente è un interrogativo che Down By Law non risolve del tutto: perché il film, chi l'avrebbe mai detto questo, appartiene almeno altrettanto a Roberto Benigni che al suo regista. Down By Law è infatti come spezzato in due. Una prima parte, di circa mezz'ora, quasi manierista: con Robby Muller, il talentuoso direttore della fotografia di Wim Wenders, incaricato a restituirci delle brillantissime, quanto leggermente gratuite immagini Anni Cinquanta in doveroso bianco e nero. E una seconda, che scatta immediatamente alla prima apparizione (di spalle oltretutto) del comico italiano. Da quel momento Down By Law si permea dell'universo assurdo, e poetico, di Benigni, dei suoi giochi di parole ("I want an ice cream or I scream") di tutta una sua visione teneramente dissacrante degli stereotipi di certo cinema americano. In tutta questa operazione Jarmush, per carità, ha più di un merito. Non solo quello di aver afferrato, lui di cultura e lingua diversa, la straordinaria dimensione poetica di Benigni. Ma di averla inserita quasi ritraendosi modestamente in secondo piano, nel paesaggio dei mito cinematografico americano. Per cui, curiosamente, Down By Law finisce con l'aprire almeno un paio d'interrogativi: chi riuscirà a mettere in scena con altrettanta felicità ed originalità il comico toscano. E come sarà, senza Benigni, la prossima volta di Jarmusch.
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